Liberamente ispirato al libro di Gaetano Petraglia "La matta di piazza Giudìa" (Giuntina), la piece Elena la Matta con Paola Minaccioni racconta - fra documento storico, emozione e ironia - Elena Di Porto, un personaggio realmente esistito nel ghetto ebraico di Roma e molto popolare tra le generazioni che hanno vissuto la seconda guerra mondiale. Lo spettacolo coinvolgente e di grande impatto emotivo torna a far tappa a Roma alla Sala Umberto dal 6 all'11 maggio, a grande richiesta dopo il sold out di questo inverno.
Una storia di libertà, di femminismo ante litteram, di ribellione alle ingiustizie, un'eco di quanto accade ancora oggi nei regimi. È quella di Elena Di Porto, nata nel Ghetto di Roma, interpretata da Paola Minaccioni in "Elena, la matta", in scena nei teatri italiani con la regia di Giancarlo Nicoletti, la drammaturgia di Elisabetta Fiorito, le musiche originali di Valerio Guaraldi, eseguite dallo stesso autore e Claudio Giusti.
Lo spettacolo è un emozionante viaggio nell'Italia del Fascismo, delle leggi razziali, della paura, ma anche della speranza e della solidarietà.
La storia vera di Elena Di Porto trae spunto dal libro di Gaetano Petraglia, ma anche dalle memorie di Settimia Spizzichino, unica sopravvissuta al rastrellamento del Ghetto, dai racconti dello storico David Kertzer e dalle testimonianze di Giacomo De Benedetti. Poverissima, stracciarola, dichiarata pazza dal regime, non lo era affatto. Nata nel 1912 da un'umile famiglia ebraica, Elena era una donna dal carattere singolare e ribelle, profondamente anticonformista. Separata dal marito, indipendente, antifascista convinta e temeraria, poco disposta ad accettare passivamente ogni forma di sopruso, soprattutto nei confronti degli altri ma anche una donna complessa che ha continue crisi di rabbia quando vede un'ingiustizia e che per questo viene rinchiusa a Santa Maria della Pietà. Elena passa attraverso la battaglia contro le angherie del regime, la persecuzione razziale, i reiterati ricoveri nell'ospedale psichiatrico, gli scontri con le squadracce fasciste, il confino in Basilicata, il ritorno a Roma, il vano tentativo di resistenza durante l'occupazione nazista della Capitale fino al rastrellamento del 16 ottobre 1943.
Il tutto in un crescendo di emozioni in cui la protagonista racconta in un romanesco addolcito la sua vita e i suoi scatti d'ira che la mettevano nei guai quando non ce la faceva più di subire le angherie e per dirla con le parole sue "je partiva er chicchero".
"Ho voluto raccontare questa storia per dar vita di nuovo a Elena perché la sento dentro di me come fosse una sorella. Una donna alla quale ispirarsi ogni giorno, una storia di libertà che spero commuova il pubblico come ha commosso me", spiega Paola Minaccioni che interpreta Elena con tutta la veracità e la potenza per raccontare una femminilità decisa, forte, fuori dagli stilemi e provata dalle angherie del regime. Una matta non matta la cui storia rispecchia quanto sta accadendo attualmente nei paesi dominati dai regimi dove le donne che si ribellano vengono dichiarate ancora oggi "pazze", simili a quelle che Elena incontrerà a Santa Maria della Pietà.
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