(di Gianluca Vannucchi) VINCENZO SINAPI, DOMENIKON 1943.
QUANDO AD AMMAZZARE SONO GLI ITALIANI (Mursia, pp.
250, 18 euro.
Prefazione di Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer)
Domenikon è un piccolo villaggio greco, in Tessaglia, di cui
in Italia pochi hanno sentito parlare. Eppure proprio qui, il 16
febbraio 1943, si consumò una delle peggiori stragi compiute
dalle forze italiane di occupazione: almeno 140 civili furono
uccisi come (illegittima) reazione a un'imboscata partigiana in
cui morirono nove Camicie nere. Fu il primo di una serie di
eccidi per i quali nessuno ha mai pagato.
È una pagina buia, e ancora poco esplorata, della storia del
nostro Paese. Un caso clamoroso di giustizia negata che si è
trascinato fino ai nostri giorni e che - come si ricostruisce
per la prima volta in un libro, "Domenikon 1943. Quando ad
ammazzare sono gli italiani" (Mursia), del giornalista Vincenzo
Sinapi - è inconfessabilmente legato a quello dell'impunità
assicurata ai criminali di guerra nazisti responsabili delle
stragi commesse in Italia, le cui inchieste sono state
insabbiate, con i relativi fascicoli, nell'Armadio della
vergogna. Nel volume - con documenti giudiziari inediti - si
raccontano i retroscena dell'assoluzione di massa - prima
politica, poi giudiziaria - degli italiani responsabili dei
crimini di guerra commessi nei territori occupati. E si racconta
la storia-simbolo di Domenikon, anche attraverso le
testimonianze dei pochi sopravvissuti.
"Mi è toccato di assistere a scene capaci di farti perdere la
ragione", racconta un anziano. "Certo erano soldati ragazzini,
18-20 anni, ma alla fine erano capaci di metterti al muro. Che
ci potevamo fare, la situazione era questa".
Tardivamente, in anni recenti, la procura militare di Roma ha
riaperto il dossier dei delitti commessi dai militari italiani
nei Balcani, ma ormai il tempo era scaduto e il procedimento è
stato archiviato. Nonostante ciò, un magistrato militare,
sollecitato dal nipote di una delle vittime, ha riesumato tempo
dopo il fascicolo, svolgendo nuove e più circoscritte indagini,
mirate questa volta a far luce esclusivamente sulla strage di
Domenikon. Gli accertamenti sono durati anni, ma il risultato
non è stato diverso. La vicenda giudiziaria è stata
definitivamente chiusa perché i responsabili sono tutti morti,
ormai, o sono rimasti 'ignoti'. Un proscioglimento di cui il
procuratore militare Marco De Paolis ha chiesto irritualmente
scusa ai familiari delle vittime. "Abbiamo percorso tutte le
strade possibili, lo sforzo investigativo è stato grande, ogni
indizio è stato sfruttato. Ma ci siamo scontrati con ostacoli
insuperabili a causa del lungo tempo trascorso. Un tempo troppo
lungo", ha scritto De Paolis. "Provo amarezza per non aver
potuto dare a Voi, alla Vostra comunità, la risposta positiva di
giustizia che vi è dovuta. E di questo mi scuso".
Come scrivono nella prefazione del libro gli storici Filippo
Focardi e Lutz Klinkhammer, a differenza di quanto avvenuto in
Germania, e anche in Francia, in Italia "un pubblico esame di
coscienza sulle proprie responsabilità per i crimini commessi
nelle colonie e nei territori europei occupati durante la
seconda guerra mondiale è stato finora frenato da vari fattori,
fra cui (...) interessi politici e istituzionali restii a
riconoscere le malefatte del Paese, non ultimo per scongiurare
eventuali richieste di indennizzi da parte dei familiari delle
vittime dei crimini italiani". Ma se da un punto di vista
storico "ormai è troppo tardi - scrivono Focardi e Klinkhammer -
per portare in tribunale i responsabili dei crimini di guerra,
non è tardi tuttavia per far conoscere al grande pubblico
italiano questa pagina rimossa della storia del nostro Paese,
una pagina con cui l'opinione pubblica dovrebbe finalmente
confrontarsi".
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