CANNES - Per Thierry Fremaux, Cannes è "la casa degli artisti che protegge e accoglie, come i dissidenti l'iraniano Jafar Panahi e il russo Kirill Serebrennikov, Terry Gilliam o anche lo stesso Lars Von Trier". È quello che ha detto alla vigilia del festival (8-19 maggio)il direttore artistico convocando, del tutto irritualmente la stampa. Quasi una difesa preventiva, la sua, dopo l'attacco anche degli stessi critici francesi. E questo in seguito alla nuove regole imposte dal festival (no selfie su red carpet, nessuna corsia preferenziale per la stampa che vedrà i film in contemporanea con pubblico e cast). Inoltre continua il braccio di ferro tra Fremaux e Netflix che di fronte al veto di prendere in concorso il film di Cuaron, 'Roma', perché senza distribuzione in sala in Francia, come da regolamento, il colosso dello streaming ha reagito togliendo dalle proposte fuori concorso l'ultimo atteso film di Orson Wells (The Other Side of Wind) finalmente completato.
Un tonico Fremaux non ci sta. E vola alto per giustificare la sua tesi parlando della tradizione culturale francese, risalendo perfino ai Lumiere, per dire: "il festival è a Cannes, in Francia, un paese che continua ad amare il cinema che si vede collettivamente in sala. Netflix, come Amazon, sono novità che rispettiamo, ma per noi l'arte cinematografica resta il film in sala, la sua poesia che è una cosa unica. Le serie - ribadisce non senza ironia - sono serie, un'altra cosa".
Non sono mancati riferimenti al tema donne, al caso Weinstein. Fremaux si inalbera: "quando sento che Cate Blanchett viene definita la prima presidente donna perché siamo nel dopo Weinstein non ci sto: Cate è una grande artista e solo alla sua bravura deve la sua legittimità. Quanto a presidenti donne, Cannes ne sa qualcosa. Ha avuto Olivia de Havilland ed era il 1965 e poi Sofia Loren l'anno dopo".
Fremaux ha ribadito che, per quanto riguarda le donne, non è una questione di quote sia nella selezione di giuria che nei film:"per noi contano solo qualità dell'opera e la sua storia.
Un film è valido al di la di generazioni, sesso e luogo d'origine".
Sui selfie, esplicitamente vietati quest'anno sulle Montée des Marches, dice solo:"il selfie è grottesco e ridicolo e la leggenda e il prestigio del festival sono fondate sull'eleganza".
Sulla contemporaneità della visione del film da parte di pubblico e giornalisti, una cosa che ha fatto montare una grossa polemica, spiega infine Fremaux: "Io amo la stampa, i giornalisti, ma la regola - dice rivolto alla platea - è per voi e non contro di voi. L'intento è solo quello di emozionalizzare allo stesso momento pubblico e critica".
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