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Cecilia Sala: 'Mi interrogavano incappucciata e faccia al muro, temevo per i miei nervi'

Cecilia Sala: 'Mi interrogavano incappucciata e faccia al muro, temevo per i miei nervi'

La giornalista a 'Che tempo che fa': 'Se aiutata riesco a dormire'.'Fortunata a stare in carcere solo 21 giorni. Non tornerò in Iran'

ROMA, 20 gennaio 2025, 11:39

Redazione ANSA

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Cecilia Sala, fortunata a rimanere in cella solo 21 giorni - RIPRODUZIONE RISERVATA

Cecilia Sala, fortunata a rimanere in cella solo 21 giorni - RIPRODUZIONE RISERVATA

Interrogatori infiniti "incappucciata con la faccia rivolta al muro", mentre in isolamento "temevo per i miei nervi", passando il tempo a "leggere le istruzioni delle buste o a contare le dita delle mani". Per la prima volta dal suo rilascio, Cecilia Sala decide di raccontare in tv i suoi 21 giorni di detenzione nel carcere di Evin, in Iran, fatti di accuse e paure, di speranze e timori. Intervistata da Fabio Fazio a 'Che tempo che fa' ripercorre quei momenti, senza mai dimenticare tutte quelle persone ancora detenute "che non hanno la fortuna di avere alle spalle un Paese che ti protegge e si prende cura di te". Per sopravvivere - afferma - "ho pensato alle cose belle della mia vita e al fatto che prima o poi le avrei riavute".

Ma ora, conclude, "non tornerò in Iran, almeno finché ci sarà la Repubblica Islamica". Parlando della detenzione spesso le si rompe il fiato, l'emozione prende il sopravvento quando ripercorre con la mente "il tempo che ti spezza", come dice lei stessa. "Mi hanno prelevata nella mia camera d'albergo mentre stavo lavorando - racconta -. In macchina ero incappucciata con la testa abbassata verso il sedile. Ho capito che mi stavano portano in carcere dal rumore del traffico e dalla strada che stavamo facendo". Solo il giorno successivo le è stato concesso di fare le telefonate di rito all'ambasciata o ai familiari "per giustificare la mia sparizione".

Video Che Tempo Che Fa, Cecilia Sala racconta la prigionia in Iran

 

"Nei primi 15 giorni della detenzione mi interrogavano tutti i giorni - spiega -. Il giorno prima del rilascio mi hanno tenuta dieci ore di fila, sempre incappucciata. In uno degli interrogatori sono crollata e mi hanno dato una pasticca per calmarmi. Mi interrogava sempre la stessa persona in perfetto inglese e da quello che diceva capivo che conosceva molto bene l'Italia". L'isolamento è stato il momento più drammatico, con i rumori "strazianti" che arrivavano dalle altre celle, "pianti" o "tentativi di farsi del male".

"In una cella accanto c'era una ragazza che prendeva la rincorsa per sbattere più forte che poteva la testa contro la porta - racconta -. Durante una telefonata a Daniele (il compagno, ndr) gli ho detto di avere paura per la mia testa, avevo paura di perdere il controllo". Le preoccupazioni più grandi, ricorda ancora, erano legate alla crisi mediorientale e all'imminente insediamento di Donald Trump.

"Era un conto alla rovescia che mi spaventava tantissimo. Se avesse detto pubblicamente che voleva ritorsioni contro qualche iraniano - le sue parole - la mia situazione poteva complicarmi moltissimo". "Ho capito di essere un ostaggio - continua - quando mi hanno informato della morte di Jimmy Carter, il presidente americano della crisi degli ostaggi. È stata l'unica notizia che mi hanno dato durante la detenzione. In quel momento ho capito quale fosse la mia condizione". Durante l'intervista si è parlato anche del presunto coinvolgimento di Elon Musk. "Nessuno della mia famiglia ha mai parlato con Elon Musk - ha detto -. Il mio compagno ha contattato il referente, Andrea Stroppa, chiedendogli se potesse far arrivare la notizia a Musk, che qualche mese prima aveva incontrato l'ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite, un evento storico dopo la crisi del '79. Gli ha chiesto se potesse fare arrivare la notizia e l'unica risposta ricevuta è stata 'informato'". Chiudendo l'intervista, la giornalista ricorda la sua diffidenza quando, la mattina dell'8 gennaio, le comunicano che sarà rilasciata. "Pensavo che le persone che mi erano venute a prendere fossero i pasdaran e non l'intelligence iraniana - dice -. Credevo mi stessero portando in una delle loro basi militari, quando poi all'aeroporto militare mi hanno sbendata e ho visto una faccia italianissima con un abito grigio ho fatto il sorriso più grande della mia vita". Lo stesso che ha riservato poi al compagno e ai genitori in quell'abbraccio indimenticabile sulla pista dell'aeroporto di Ciampino.

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