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Fadoi, in overbooking 100% medicine interne degli ospedali umbri

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Fadoi, in overbooking 100% medicine interne degli ospedali umbri

Carenza cronica di personale in quasi tutte le unità operative

PERUGIA, 10 maggio 2025, 10:30

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Quasi il 100% delle medicine interne degli ospedali dell'Umbria è attualmente in overbooking e tutti denunciano carenze croniche di personale: è quanto emerge dai dati del sondaggio condotto tra marzo ed aprile da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri. Il 71% dei reparti - viene riferito - presenta un tasso di occupazione dei posti letto oltre il 100%.
    Nelle medicine interne, come detto, quasi il 100% va appunto in overbooking, con oltre il 100% dei letti occupati. "Pochi letti, ancor meno personale, ma la situazione - secondo Fadoi - potrebbe essere un po' più gestibile se si potessero evitare i ricoveri impropri, quello frutto di una difficoltà di presa in carico dei servizi territoriali, centrati in larga parte sulla rete degli studi dei medici di famiglia, anche loro sempre meno numerosi e con un numero in eccesso di pazienti da dover seguire. Mediamente un ricovero su quattro poteva essere evitato con una rete di assistenza territoriale più adeguata".
    Discorso analogo per la mancata prevenzione. Stili di vita scorretti, bassa aderenza agli screening, scarse coperture vaccinali, unite al più basso finanziamento pubblico d'Europa per la prevenzione, fatto è che a causa di tutto ciò almeno un quarto degli assistiti finisce in ospedale, quando avrebbe potuto evitarlo.
    "La survey Fadoi conferma una situazione critica - commenta in una nota Marco Giuliani, presidente regionale Fadoi Umbria - nella sanità umbra: reparti di medicina interna sovraffollati, personale insufficiente e un quarto dei ricoveri evitabili con una rete territoriale più forte e più prevenzione. È indispensabile accelerare sulla riforma della sanità territoriale, rafforzare l'organico e investire seriamente nella prevenzione. Senza interventi urgenti, il rischio è un progressivo peggioramento dell'assistenza ai cittadini".
    Se su quel che precede e dovrebbe evitare molti ricoveri la sanità ancora arranca, altrettanto non si può dire per chi viene dimesso. Qui la percentuale di chi va a casa ma con l'assistenza domiciliare integrata attivata è al 50%, mentre un'altra metà va in una Rsa.
    Quanto complessivamente la riforma della sanità territoriale, "che stenta a decollare", possa migliorare le cose lo racconta la seconda parte dell'indagine, dalla quale emerge un mix di speranza e scetticismo rispetto all'operatività delle nuove strutture che dovranno aprire i battenti entro il giugno 2026 per non perdere i due miliardi del Pnrr stanziati proprio per questi servizi. Fulcro della riforma dovrebbero essere le case di comunità, sorta di maxi ambulatori dove dovrebbe lavorare in team medici di famiglia, specialisti ambulatoriali delle Asl e altri professionisti della salute. Strutture dove, oltre ad essere visitati, gli assistiti dovrebbero pure eseguire accertamenti diagnostici di primo livello, come Ecg o ecografie.
    Per il 25% dei medici le nuove case di comunità potranno effettivamente ridurre il numero dei ricoveri, "ma bisognerà vedere come verranno realizzate".
    Simile la risposta fornita dai medici rispetto agli ospedali di comunità a gestione infermieristica, ai quali spetterebbe il compito di agevolare le dimissioni dai reparti, prendendo in carico quei pazienti che non hanno più bisogno dell'ospedale vero e proprio, ma che nemmeno sono nelle condizioni di tornare a casa. Per il 75% degli interpellati, invece, nessun beneficio arriverà dalle case di comunità, così come non vede miglioramenti all'orizzonte derivanti dagli ospedali di comunità la gran parte dei medici. Fermo restando che per i medici il 25% dei ricoverati potrebbe essere dimesso più rapidamente con queste nuove strutture intermedie ben funzionanti.
    Tra sovraffollamento dei reparti e carenze di organico, non ci si deve infine stupire se il 75% degli internisti dichiara di non avere abbastanza tempo per fare ricerca, conclude la Federazione dei medici internisti ospedalieri.
   

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