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- RIPRODUZIONE RISERVATA
(di Marzia Apice) "Il teatro fa solo
domande, senza fornire risposte. Ecco, con questo documentario
mi sono messo nei panni del pubblico, ho provato a dare degli
strumenti per trovare delle risposte. Il mio re Lear è molto
umano, non c'è il tema del potere, ma quello della paternità e
delle seconde chance che si possono dare ai padri". E' un
progetto ambizioso, che punta sulla capacità dei linguaggi
artistici di "decodificare" la complessità, il documentario
"Aspettando re Lear", firmato da Alessandro Preziosi, ideato con
Tommaso Mattei, che dal 5 al 7 maggio sarà al Cinema Farnese di
Roma (la prima sera, ore 21, alla presenza di regista e cast), e
poi proseguirà la sua avventura nelle sale d'essai delle
principali città italiane e in alcuni festival estivi. Il
documentario - una produzione Pato film in associazione con
Cinecittà, in collaborazione con Rai Cinema, con il sostegno
della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e con la
collaborazione del teatro Stabile del Veneto -, che riprende
l'omonimo spettacolo con cui Preziosi ha debuttato a Verona nel
2023, racconta un evento teatrale dalla prima ideazione alla
messa in scena, attraverso un dialogo costruito con il maestro
biellese Michelangelo Pistoletto e i suoi quadri specchianti. La
contaminazione dei linguaggi - il teatro unito all'audiovisivo e
all'arte contemporanea -, e l'ambientazione in una Venezia
caotica e apocalittica tra le calli di Rialto, le segrete di
Palazzo Ducale, le tese dell'Arsenale fino al Labirinto di
Borges all'isola di San Giorgio permettono una originale
reinterpretazione della tragedia di Shakespeare: qui re Lear è
solo un uomo, giunto quasi al capolinea della vita, che riflette
sulla sua inadeguatezza e sul senso più profondo dell'essere
padri e figli. "Nell'epilogo del testo shakespeariano c'è un
tardivo riconoscersi tra padre e figlio che poi muoiono, in
questo adattamento invece c'è un incontro e la possibilità di
una seconda chance, nonostante le mancanze e l'immaturità dei
padri: è un modo di dare al senso dell'attesa una speranza",
spiega Preziosi intervistato dall'ANSA. Questo lavoro, che vede
al fianco di Preziosi anche Nando Paone, Roberto Manzi, Federica
Fresco e Valerio Ameli, riflette sul teatro stesso, lo mostra
dal di dentro, e lo trasporta in altri linguaggi, ma è anche
un'indagine profonda sulla paternità e sull'eredità che lasciamo
a chi verrà dopo di noi. "Dopo la tournée in teatro, mi sono
reso conto che servivano strumenti per far capire meglio l'uso
che volevo che lo spettatore facesse di quello spettacolo",
prosegue l'attore, che prossimamente sarà nella serie
internazionale Sandokan (in onda su Rai1) nei panni di Yanez e
che ha appena finito di girare Portobello, la serie per la nuova
piattaforma Max di Warner-Discovery, firmata da Marco Bellocchio
sulla vicenda di Enzo Tortora, "in questo mi ha aiutato molto
anche il maestro Pistoletto". Come è avvenuto il vostro
incontro? "In modo fortuito, al Chiostro del Bramante, durante
una sua mostra - dice - gli ho spiegato il progetto, e lui mi ha
detto: 'fai delle mie opere ciò che vuoi'". Oltre ai lavori di
Pistoletto - che costringono il protagonista a guardarsi dentro,
senza poter sfuggire alle proprie responsabilità - centrale nel
documentario sono le scelte di regia, con piani sequenza,
soggettive, ellissi temporali. "Volevo che l'attore guardasse
negli occhi lo spettatore, l'oggetto osservato e l'osservatore
entrano in relazione sempre - spiega - le riprese sono fatte sul
palco in soggettiva o dalle quinte". Ha corso il rischio di
realizzare un lavoro troppo colto e criptico, o al contrario,
troppo didascalico: come ha trovato l'equilibrio? "'Attraverso
il tuo documentario le mie opere diventano popolari' mi ha detto
Pistoletto, volendo significare che l'arte rende liberi ed è di
tutti. Ecco, io voglio rispondere usando le sue parole.
Nell'arte tutto può diventare qualcos'altro: un tavolo resta un
tavolo ed è funzionale al racconto ma può rendere più umana
un'opera", afferma, "il documentario è stato il risultato del
rischio che stavo correndo con lo spettacolo, ho fatto una sorta
di perifrasi, avevo desiderio di riscrivere e mettermi nei panni
del pubblico. Credo di aver raggiunto il mio obiettivo:
all'anteprima alla Festa del Cinema di Roma hanno triplicato le
proiezioni in sala, perché c'era stato il passaparola del
pubblico". Dopo "La legge del Terremoto", questo è il suo
secondo documentario: si sta preparando per fare un film? "In
realtà sì, in modo cauto e responsabile di avvicinarmi a una
storia da portare al cinema, ci sto lavorando con la maturità
dei film visti e dei documentari fatti", rivela l'attore pronto
a tornare sul piccolo schermo con due serie, Sandokan, al fianco
di Can Yaman, e Portobello di Bellocchio, con Fabrizio Gifuni.
"E' stato divertente lavorare in Sandokan, una grande produzione
internazionale, recitavo in inglese con cadenza portoghese",
dice, "di Portobello posso dire poco: il cast era incredibile,
ora abbiamo appena finito di girare, ma quando collabori con un
maestro come Bellocchio è qualcosa di unico".
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