COLLODI, 'I RACCONTI DELLE FATE' e 'STORIE ALLEGRE' (GIUNTI Ed. - VOL. IV Edizione nazionale delle opere di Collodi - pp. 540 - 30,00 euro).
Oggi è di moda il racconto noir, a forte tinte, e in questo periodo estivo potrebbe essere interessante lasciarsi alle spalle un eccesso di realismo e riscoprire atmosfere egualmente cupe in tante celebri fiabe scritte tra il Sei e il Settecento, da 'Barba blu' a 'Cappuccetto rosso', da 'Il gatto con gli stivali' a 'La bella e la bestia', solo per citare alcuni titoli. Questi catartici racconti di paura sono un'iniezione di freschezza, specie se si scelgono le riscritture che ne fece Collodi, dando loro un'impronta propria e soprattutto una lingua che ci ricorda la bellezza e i ritmi del suo capolavoro, come riscopriamo con l'uscita ora di questo IV volume dell'Edizione nazionale delle sue opere, promossa dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi e diretta da Daniela Marcheschi. C'è sempre nel discorso critico, inevitabilmente, un prima e un dopo 'Pinocchio' per un autore come Carlo Lorenzi, passato alla storia col suo pseudonimo letterario Collodi quale autore di un libro dal successo planetario, e questo libro riunisce assieme quei 'Racconti delle fate', tradotti e riscritti subito prima delle avventure del celebre burattino, e le 'Storie allegre', create subito dopo e che comprendono 'Pipì o lo scimmiottino color di rosa' da sempre letto come una sorta di seguito di Pinocchio.
''Le traduzioni di racconti di fiabe di tradizione francese, insieme con 'Storie allegre' - scrive in una nota introduttiva Guido Conti - dialogano più o meno velatamente con Pinocchio perché Collodi è uno scrittore complesso, dalla ricca tramatura, con ammicchi continui, citazioni e metamorfosi''. Per questo Giuseppe Pontiggia scrisse che con queste fiabe, tratte da quelle di Charles Perrault, Jeanne-Marie Leprince de Beaumont o di Marie-Catherine d'Aulnoy, ''la corte del Re Sole si trasferisce, con il suo seguito luminoso, in una Toscana insieme Granducale e umile'', per una ''ricreazione popolaresca e sapida'' in cui sono già i semi della scrittura delle storie del burattino di legno. E l'orrido Mangiafoco, del resto, non è che un orco (fallito, secondo Manganelli, per il suo sentimentalismo), un lupo che invece che un castello abita un tendone da circo, così come sarà per il ''terribile assassino'' Golasecca, che si mette lo scimmiotto Pipì nella tasca della giacca, minacciandolo, o diventa ''così alto e gigantesco'' da scoperchiare il tetto dell'Osteria delle Mosche. Per cui, conclude Conti, ''la fiaba francese indica a Collodi una possibilità per arricchire la tastiera di una scrittura, nella quale compaiono già da anni le 'Macchiette' (pubblicate nel II Vol. dell'edizione Nazionale), per ampliare la varietà delle tipologie narrative e trasformarle in storia e racconto''. Nelle 'Storie' ritroviamo i bambini che aspirano a diventare uomini, come Pinocchio, a cominciare proprio da Pipì (''Bada, a furia di scimmiottare gli uomini, un giorno diventerai un uomo anche tu... e allora!'') o il Gigino de ''L'omino anticipato'' sino al Masino de ''L'avvocatino'', bambini che vivono in un mondo difficile, quando non ostile, vessati dagli adulti e dalle punizioni. E un saggio critico di François Bouchard analizza questo, sottolinea i punti di novità e contatto tra le fiabe riscritte da Collodi, a cominciare da ''La bella e la bestia'' e quelle avventure del suo Pinocchio che ne seguiranno. Il volume, che è un'edizione critica, si completa con oltre cento pagine di 'Note ai testi', che il lettore comune può saltare, ma verso cui lo spingerà un'inevitabile curiosità.
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