(dell'inviata Mauretta Capuano) Il presente "non esiste" per James Ellroy e quindi allo scrittore americano, tra i più grandi e imprevedibili, "non interessa parlare dell'America di oggi.
Mi interessa il 1962" dice all'ANSA al suo arrivo al Salone del Libro di Torino dove il 12 maggio sarà protagonista di uno degli incontri più attesi di questa edizione.
"Non vedi che ho 14 anni, mi rendo conto di sembrare un po'
vecchio. Non ho neppure capito come ho perso i capelli a 14
anni, però immaginami come un quattordicenne" afferma senza
tanto scherzare Lee Earle Ellroy, 76 anni, vero nome di James
Ellroy. Alla Los Angeles del 1962 è dedicato, tra fiction e
realtà, il suo nuovo libro che ha un titolo bellissimo 'Gli
incantatori' (Einaudi Stile Libero) in cui ci sono Marilyn
Monroe, i Kennedy e l'investigatore privato Freddy Otash.
Perché ha scelto quell'anno, quel momento? "La storia è
venuta da me. Nel libro che ho scritto precedentemente 'Panico',
costruito come un romanzo ma in realtà si tratta di tre novelle
comiche, c'è la versione di Freddy più comica. Qui c'è quello
vero, tragico" racconta Ellroy che parla lentamente e allunga le
gambe sul tavolo per stare più comodo. Poi racconta una
barzelletta che c'è nel libro: "Un leone si sta scopando una
zebra che si guarda dietro le spalle e dice 'Oh!, sta arrivando
mio marito. Veloce, fai finta che mi stai uccidendo'". Otash in
questa storia è tragico come non mai? "Sì. E' scosso e molto
cambiato e nel momento in cui è riuscito a confrontarsi con se
stesso si accorge di essere stato complice della morte di una
liceale innocente, di quella di un compagno poliziotto e la sua
compagna lo lascia, non lo vedrà mai più e lo incolpa di questa
morte. Il libro finisce quando lui comprende la futilità della
vita che ha vissuto e dona una grande quantità di denaro sporco"
sottolinea.
L'immagine dell'America del '62 non è delle migliori, un po'
terribile? "Io per l'America provo solo amore. Mi sento
americano fino all'osso. La relazione con l'America è fraterna.
Quello che racconto è un mondo all'interno di un altro più
grande in cui Hollywood incrocia la politica di alto livello che
a sua volta intercetta anche il crimine e si interseca con le
agenzie di intelligence, facendo un gran casino. Non è una
rappresentazione della grande America, è un micromondo".
Gli Incantatori, chi sono? "Tutte le persone che vedi in
copertina, tra cui Marilyn. Chi più chi meno hanno tutte
approfittato di questa falsa epoca che sono gli Anni Sessanta in
cui veniva proposto un nuovo modo di vita che poi si è tradotto
in qualcosa di orrendo".
Che pensa di Marilyn Monroe? "Non mi piaceva intensamente.
Attrice scarsa, essere umano debole e vuoto. Era una doppia
faccia, non una persona onesta. Se devi scegliere una versione
su Marilyn scegli la mia". I Kennedy? "Bob Kennedy era un grande
uomo. E' stato il miglior procuratore generale che gli Stati
Uniti abbiano mai avuto. Invece di John non ho mai avuto una
grande opinione".
Le piacerebbe che Gli Incantatori diventasse un film o una
serie? "No perché lo farebbero a pezzi come hanno fatto con L.A.
Confidential Dalia nera, però mi piacerebbe che qualcuno mi
desse dei soldi per farne un film".
Nei suoi libri spesso si parte sempre da una situazione
negativa che diventa ancora peggiore. E' così la vita? "No.
Questo è un romanzo". In fondo si sente ottimista? "Si".
Quali sono stati i percorsi del noir del quale lei è
considerato un maestro? "È uno stile che è stato prevalente in
America tra il 1945 e il 1972. Spesso quando si dice noir si fa
riferimento al canone hard boiled della letteratura americana.
Diciamo che la campana che ha fatto scoccare l'inizio di questo
canone, il momento topico sono le pagine iniziali del libro di
Dashiel Hammet del 1929, Red Harvest (Piombo e sangue). Il
secondo scoccare è il mio libro Gli incantatori del 2024. Questa
è l'evoluzione dell'hard boiled americano" afferma l'autore
della tetralogia di Los Angeles che comprende Dalia Nera, Il
grande nulla, L.A.Confidential e White Jazz e di altri libri,
tutti capolavori, tra cui American Tabloid.
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