(di Massimo Ricci) MASSIMILIANO BONI, 'IN QUESTI TEMPI DI FERVORE E DI GLORIA' (Bollati Boringhieri, pp.
302, 26,00 euro) C'è chi osserva le leggi, chi le fa rispettare, chi se ne pone al di sopra, inevitabilmente chi le subisce.
Per tutti,
evidentemente, non valgono le stesse regole, lo stesso destino.
Niente di nuovo purtroppo, anche nello stato di diritto in cui
abbiamo la fortuna di vivere. Quindi ci sono magistrati, i più
fortunatamente, all'eroismo dei quali ci inchiniamo. Altri che
ci provocano imbarazzo. lo stesso che si prova leggendo "In
questi tempi di fervore e gloria. Vita di Gaetano Azzariti,
magistrato senza toga, capo del Tribunale della razza,
presidente della Corte Costituzionale" di Massimiliano Boni,
edito da Bollati Boringhieri. C'è la memoria in questo lavoro,
la testimonianza attraverso il ricordo. Fatica documentatissima
e necessaria perché per troppo tempo c'è stata per lo più voglia
di oblio.
Gaetano Azzariti, napoletano delle strade e dei circoli
d'elite, espressione della tradizione della giurisprudenza
partenopea davanti alla Storia si presenta come l'esecutore
delle leggi. Non importa quali, è qui la salvezza di molti,
eseguire un ordine, non impartirlo dà la garanzia della
gradualità della pena, quandanche questa venga comminata. Così è
formale estensore delle norme giolittiane, fasciste, razziste e
poi, almeno nelle intenzioni, democratiche. Non è l'unico che,
anche grazie alla pacificazione e la conseguente amnistia decisa
da Palmiro Togliatti, passa in modo indolore dall'inferno alla
Terra e per questo per noi è ancora più lacerante assistere alla
carriera di quest'uomo da responsabile del Tribunale della razza
a presidente della Consulta, quell'organo supremo e chiamato a
stabilire, tra l'altro, se le norme rispettano l'articolo 3
della Costituzione, quello appunto che si rivolge agli italiani
senza distinzioni di sesso, di razza, di orientamento politico.
Il libro inizia con la descrizione del funerale del
magistrato nel 1961 e ripercorre a ritroso la storia della sua
illustre famiglia di giuristi. Nei primi anni del secolo scorso
arriva a Roma e nel 1906 è nominato segretario della Commissione
per l'esame del progetto di ordinamento giudiziario nella
colonia Eritrea. Boni cita Tocqueville per introdurre il
capitolo in cui si analizza il contributo alla legislazione del
regime fascista: "Vicino ad un principe che viola la legge è
rarissimo che non vi sia un giurista, il quale assicura non
esservi nulla di più legittimo, dimostrando sapientemente che la
violenza è giusta". Nel Ventennio il ruolo di Azzariti è
centrale nel ministero di Grazia e Giustizia. E tornando a
Toqueville, il fine giurista trova le argomentazioni per
firmare, sostenere, giustificare quello che non lo è. Per cui
diventa lecita, non tollerata quindi come era stato finora, ma
addirittura legale, giuridicamente valida e inappellabile la
persecuzione degli ebrei, la classificazione in razze con
godimenti di diritti differenziati.
Nel 1956 entra nella Consulta, il 6 aprile 1957 diventa
presidente della Corte Costituzionale. Seguendo i percorsi
previsti e i meccanismi stabiliti dai costituenti e dai
legislatori. Non contro la legge ma secondo la legge, sapendo
sempre stare dalla parte dove questa si piega. Ma alla fine la
giustizia troverà spazio. E oggi via Azzariti a Napoli non c'è
più, è dedicata ad una giovane vittima delle persecuzioni. Dura
lex sed lex.
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