MAX DE FRANCESCO 'DISTRATTO IL SOGNO PASSO' (IUPPITER EDIZIONI, pp.102, euro 12,00) - Inno alla parola distratta, tributo alla notte e alla controra, pietra in faccia al pensiero in "delivery", lotta ai demoni della massa: la raccolta poetica "Distratto il sogno passò" di Max De Francesco (Iuppiter Edizioni) è uno spartito di visioni allergico a qualsiasi etichettatura, mai scontato per l'uso di un lirismo che mischia linguaggi e lingue, suggestioni pop e chiuse aforistiche, fughe teatrali ed ermetismi cinematografici.
Se un "campo base" si vuole individuare nel territorio
scandagliato dall'autore, può essere senz'altro quello della
memoria e dell'immaginazione, il cui recupero, necessario per
sopravvivere a una finta modernità che automatizza esistenze e
stimola la dispersione, avviene esclusivamente con "la cura
dell'interiore" e la resa dei conti con le proprie radici.
Un
recupero che va intrapreso attraverso la frequentazione
dell'invisibile, la fatica del lavoro tra le parole, la capacità
di estrarre nuovi canti da ciò che appare schiavo dell'arido, la
moltiplicazione dei punti di vista, il tracciamento di vie
secondarie, alternative a quelle del "navigatore"
dell'omologazione.
Ed è proprio in questi tempi pandemici e sorvegliati, dove la
guerra ha cambiato residenza e l'egemonia del presente è
sintonizzata sull'immediato, cancellando in un colpo solo senso
del passato ed energia della prospettiva, che emerge con forza
il richiamo alle idee e alla pesca orfica che l'autore fa
incitando il ritorno di bardi combattenti, che chiama
"rivoluzionari permanenti", lontani dai pulpiti e dalle certezze
perentorie, "mangiatori di errori", lenti a capire perché la
lentezza è velocità di conoscenza, dolore penetrato, estro
empatico, lezione aperta nell'aula del "recupero sogni". È dalla
distrazione - com'è scritto nella nota introduttiva dell'opera
che è un manifesto di poesia ribelle e possibile - inteso come
processo creativo e vitale di allontanamento dal falso reale,
«che il verso trae origine, la polpa di visioni lascia odori,
l'idea spunta e agguanta occhi». Lavorando così materia non
governabile in spazi non controllabili, chi esercita il
"distrattismo" ha una formazione non identificabile, è fuori
dalla bagarre dell'odierno, è escluso o temuto perché non
acquistabile, costantemente impegnato in un conflitto
sotterraneo per difendere il dubbio, inquadrare chi opera nella
marginalità, raccontare il ritrovamento di serrature di sogni,
confondere i piani dell'algoritmo anche con la disponibilità al
gioco e alla parodia del mito.
In un centinaio di pagine, tenute insieme da una cover dove la
relazione notturna si presenta senza invito allo sguardo del
lettore, il sentiero di versi di Max De Francesco scorre nella
terra del detto e del non detto, dell'abitabile e del
disabitato, mostrando durante il percorso gran parte
dell'inventario della produzione dell'autore, in cui a prevalere
sono i colori di estati sepolte, il quotidiano degli svaniti nel
nulla, le azioni sconosciute di eroi lievi, gli odori di amori
sospesi, l'affinità con la vita delle pietre, il ritorno nei
luoghi delle "corse da bambino", la dissolvenza dei borghi, il
fascino per le piccole cose, il ricamo dei ricordi. Lo scatto
nuovo, questa volta, è la luce sul ruolo del poeta, la cui arte
di cristallo può riaprire la partita, che al momento appare
compromessa, con la libertà e il pensiero.
Distratto il sogno passò è un'ode alla parola distratta che può
allontanare l'uomo dalla condizione di criceto nella ruota,
perché frequentarla e condividerla è «ricomporre la linea delle
lucciole, stringere in petto l'abbecedario delle stelle».
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