Avrebbe dovuto fare tappa a Venezia l'iniziativa "Parole in viaggio", organizzata dalla casa editrice Marietti 1820 per celebrare due secoli di attività.
Giovedì 12 marzo alle 17.30, nella Sala San Tommaseo dell'Ateneo
Veneto era infatti in programma un incontro sul tema della
memoria, rinviato a causa dell'emergenza coronavirus, con
Anna-Vera Sullam Calimani, già docente di Lingua e Storia della
lingua italiana all'Università Ca' Foscari.
Il viaggio in Italia coinvolge nove città (ad ognuna è
associata una parola) e propone 11 lezioni, uno spettacolo e una
mostra di libri e documenti (il programma dettagliato, che si
avvale della collaborazione di Bper banca, Emme promozione,
Edimill e Tuna bites, è sul sito
www.mariettieditore.it/bicentenario).
Per l'ANSA in anteprima un testo di Anna-Vera Sullam
Calimani, che per Marietti 1820 ha pubblicato il libro "I nomi
dello sterminio. Definizioni di una tragedia", in cui si
interroga sui termini che, dopo la seconda guerra mondiale,
hanno cercato di definire lo sterminio di sei milioni di ebrei
nei campi di sterminio nazisti.
MEMORIA
di Anna-Vera Sullam Calimani
Nell'uomo la memoria è il modo con cui la mente ritiene o
rievoca determinate immagini, nozioni, persone, avvenimenti.
La memoria storica o collettiva indica i valori che derivano
dalla conoscenza della propria storia e che costituiscono il
patrimonio spirituale di un popolo o di un gruppo e gli danno
coscienza della propria identità.
L'identità è ciò che caratterizza una persona o un popolo, la
memoria è ciò che preserva questa essenza dall'erosione del
tempo. Quando una persona è ammalata di Alzheimer perde la
memoria di sé stessa quindi perde la propria identità. Se un
popolo non ha memoria esso perde la propria identità come se
soffrisse di un Alzheimer collettivo (per riprendere un'immagine
creata da Claudio Magris).
Questo vincolo biunivoco tra memoria e identità è fondamentale
per il popolo ebraico. "Noi ebrei" diceva il grande filosofo
Martin Buber nel 1938, "siamo una comunità basata sul ricordo".
E infatti la Torah (la Bibbia ebraica) oltre duecento volte
impone di ricordare (zachor!, ricorda!) o di non dimenticare .
Lo Shemà, la preghiera più importante per ogni ebreo, recita:
"Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno
…. E queste parole che io ti comando oggi saranno nel tuo cuore,
le ripeterai ai tuoi figli e ne parlerai".
Il significato di questo testo è duplice: da un lato è
necessario portare nel cuore, quindi interiorizzare e fare
proprie a livello emozionale queste parole, dall'altro esse
devono essere trasmesse alle generazioni future. "Ricordati di
ricordare perché se non lo farai non sarai ricordato": la
memoria, cioè, custodita di generazione in generazione, è
l'antidoto più potente contro la morte e contro l'oblio.
La memoria,quindi, non va solo compresa e coltivata ma va
trasmessa. La memoria, tuttavia, è selettiva: molti eventi
infatti sfuggono al nostro ricordo e ciò è anche un bene perché
l'eccesso di ricordo susciterebbe confusione e condurrebbe a una
visione ossessiva del passato. Quali ricordi vanno allora
trasmessi?
Per gli ebrei l'imposizione della memoria riguarda solo alcuni
momenti fondanti della loro identità. Nel Deuteronomio (25,
17-19) è scritto: "Ricorda cosa ti ha fatto Amalek in ogni
generazione". Amalek è assunto come simbolo del "nemico" per
antonomasia. Questo nemico, quello cioè che tenta di estirpare
gli ebrei dalla faccia della terra cominciando dai più deboli e
disarmati, va ricordato per sempre, per lui non esiste l'oblio.
Perciò il ricordo della Shoah, del tentativo di sterminare tutti
gli ebrei d'Europa, non potrà né dovrà mai essere dimenticato.
La memoria, tuttavia, non deve essere solo un ricordo passivo di
ciò che è stato e non deve neppure trasformarsi in un monumento
istituzionalizzato consegnato alla storia, ma deve essere invece
memoria viva. Per questo è necessario innestare la memoria nel
presente e renderla parte della coscienza individuale. Bisogna
creare una memoria storica, corale, condivisa, comune a un
gruppo, sia esso nazionale o transnazionale.
Oggi nel mondo la comprensione dello sterminio degli ebrei
d'Europa è diventato patrimonio accolto da una larga maggioranza
di persone. Per motivi psicologici, politici, sociali e anche
religiosi ci sono voluti, però, parecchi decenni per giungere
all'attuale condivisione.
Emblematica di questo sofferto percorso interpretativo è la
ricerca del nome con cui definire quegli avvenimenti. Nel corso
dei decenni sono stati creati molti nomi ma ancora oggi non si è
giunti a un'unica definizione.
Dare un nome significa compiere un'estrema sintesi della nostra
visione di un evento, dotarlo di un titolo che ne riassume il
significato. Ciascuno dei nomi con cui è stato chiamato lo
sterminio degli ebrei, Hurban, Catastrofe, Evento, Universo
concentrazionario, Lager, Auschwitz, Soluzione finale,
Olocausto, Shoah, è indice di una diversa visione del mondo e di
un diverso approccio al passato.
Il tentativo di dare un unico nome allo sterminio continua a
riflettere l'estrema difficoltà di rappresentarlo in tutta la
sua orribile realtà, senza mistificarlo o banalizzarlo, per
preservarlo dall'oblio e conservarne la memoria.
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