"Con lei confermiamo quello che Biennale sostiene da oltre un secolo di offrire al mondo: essere la casa del futuro". L'aveva accolta così il presidente della Biennale di Venezia, Pietrangelo Buttafuoco, quando lo scorso dicembre incaricò Koyo Kouoh di curare l'Esposizione Internazionale d'Arte, la 61/a, che si svolgerà nel 2026.
Camerunense ma cresciuta in Svizzera, la 57enne curatrice, che oggi è venuta a mancare dopo mesi di malattia, era infatti simbolo di un approccio artistico che non può non avere un orizzonte sempre più ampio.
"Lascia un vuoto immenso nel mondo dell'arte contemporanea e nella comunità internazionale di artisti, curatori e studiosi, che hanno apprezzato il suo straordinario impegno intellettuale e umano" dice ora l'ente culturale di Ca' Giustinian. Attiva nel campo critico della comunità artistica in una prospettiva panafricana e internazionale, ex direttrice esecutiva dello Zeit Museum of Contemporary Art di Città del Capo, Kouoh aveva vissuto e lavorato tra Città del Capo, Dakar, e Basilea.
Aveva organizzato mostre significative come Body Talk: Feminism, Sexuality and the Body in the Works of Six African Women Artists, presentata per la prima volta a Wiels a Bruxelles nel 2015. Aveva curato Still (the) Barbarians, la 37/a edizione di Eva International, la Biennale d'Irlanda a Limerick nel 2016 e aveva partecipato alla 57/a Carnegie International a Pittsburgh.
Dal 2013 al 2017 aveva ricoperto il ruolo di curatrice del Programma Educativo e Artistico della 1-54 Contemporary African Art Fair a Londra e a New York, la prima e unica fiera internazionale d'arte dedicata all'arte contemporanea africana e alla sua diaspora. Durante il mandato allo Zeitz Mocaa, il suo lavoro curatoriale si era concentrato su mostre personali approfondite di artisti africani e di discendenza africana. In questo contesto, aveva organizzato mostre con Otobong Nkanga, Johannes Phokela, Senzeni Marasela, Abdoulaye Konaté, Tracey Rose e Mary Evans. Ma era stata anche l'iniziatrice del progetto di ricerca Saving Bruce Lee: African and Arab Cinema in the Era of Soviet Cultural Diplomacy, co-curato con Rasha Salti presso il Garage Museum of Contemporary Art a Mosca e la Haus der Kulturen der Welt a Berlino (2015-2018).
La sua nomina "è la cognizione di un orizzonte ampio di visione" aveva spiegato Buttafuoco. E lei appariva ben conscia di essere approdata in quel "luogo mitico" e onorata di poter "seguire le orme degli illustri predecessori e creare una mostra che spero possa avere un significato per il mondo in cui viviamo attualmente e, cosa più importante, per il mondo che vogliamo costruire".
Perché, sosteneva, "gli artisti sono i visionari e gli scienziati sociali che ci permettono di riflettere e proiettare in modi che solo questa professione consente". Ora, ha assicurato il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, si lavorerà affinché il suo impegno di donna "capace di ascoltare, di costruire ponti tra culture lontane" e il suo straordinario esempio "resti di ispirazione e di stimolo per la Biennale Arte 2026".
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