Dalle confidenze al collega di partito - e coinquilino - Giovanni Donzelli, alla condanna per rivelazione di segreto d'ufficio. Il caso che riguarda il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, oggetto di un processo a Roma dopo una denuncia del deputato di Avs Angelo Bonelli, prende il via il 31 gennaio 2023 quando Donzelli alla Camera riportò alcune informazioni su Alfredo Cospito, il detenuto al 41 bis impegnato in quel periodo in un lungo sciopero della fame contro il carcere duro. In quell'occasione il responsabile nazionale di Fratelli d'Italia, sentito anche lui dai magistrati lo scorso settembre come testimone, parlò di alcuni colloqui che l'anarchico torinese ebbe nel carcere di Bancali a Sassari, dove era detenuto. Interrogato sul fatto ammise di aver ricevuto quelle informazioni dal collega di partito Delmastro. Il sottosegretario, con delega al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, si difese spiegando di aver girato sì le informazioni a Donzelli ma che si trattava di documenti non classificati. Una linea ripetuta da Delmastro più volte davanti ai pm di piazzale Clodio.
I documenti di cui era venuto in possesso il sottosegretario riguardavano le registrazioni, lecite, relative ai colloqui tra Cospito e i familiari, oltre a quelli tra il detenuto e la cosiddetta 'dama di compagnia', così viene definito nel gergo carcerario il compagno con cui la persona ristretta al 41 bis trascorre, a rotazione, l'ora di socialità. Per Cospito quando era ristretto a Sassari, prima del trasferimento ad Opera, uno di questi era il boss della 'ndrangheta Francesco Presta, che lo esortava riferendosi alla protesta contro il 41 bis: "devi mantenere l'andamento, vai avanti". E Cospito rispondeva: "fuori non si stanno muovendo solo gli anarchici, ma anche altre associazioni. Adesso vediamo che succede a Roma". Conversazioni molto simili a quelle avute con Francesco Di Maio, esponente del clan dei Casalesi, altro detenuto con cui condivideva l'ora d'aria.
Tutte le conversazioni sono poi finite nel dossier che il Gruppo operativo mobile della Penitenziaria portò all'attenzione del capo del Dap che, a sua volta, interessò il ministero della Giustizia attraverso una relazione inviata al gabinetto. Da qui, dunque, la relazione sarebbe stata legittimamente messa a conoscenza di Delmastro, che ha proprio la delega al Dap. Nel documento, oltre a Cospito, Di Maio e Presta, venivano fatti i nomi anche di Pino Cammarata e Pietro Rampulla. Quest'ultimo, in particolare, è considerato uno degli esecutori materiali della strage di Capaci, colui che - secondo le indagini dell'epoca - sistemò la carica finale assieme al cugino di Brusca.
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