La Guardia di Finanza di Bologna
ha confiscato beni per 4,4 milioni ad un imprenditore 53enne di
origine campana ma da tempo residente nel capoluogo emiliano,
coinvolto in un'indagine condotta tra il 2018 e il 2020 e
all'epoca arrestato, con altre sei persone, con l'accusa di
avere architettato un sistema di 'fallimenti pilotati a catena',
con una ingente evasione fiscale.
Tra i beni confiscati ci sono sette compendi immobiliari, fra
il centro storico di Bologna e Riccione, alcuni dei quali
utilizzati per attività commerciali, come un noto
ristorante-pizzeria in via San Felice e un bed and breakfast
nella vicina via Riva Reno, oltre a denaro, polizze vita e altri
strumenti finanziari per oltre 1,6 milioni di euro.
Le due attività commerciali da tempo non sono più sotto il
controllo dell'imprenditore ma sono gestite da un
amministratore. Il decreto di confisca - spiegano le Fiamme
Gialle - è stato emesso dalla Corte d'Appello di Bologna ai
sensi della normativa Antimafia, ed è divenuto definitivo con il
pronunciamento della Cassazione che ha confermato integralmente
il sequestro già eseguito a settembre 2022.
A Marrazzo gli investigatori attribuiscono quella che viene
definita "una spiccata pericolosità economico-finanziaria",
ricostruita grazie a una meticolosa opera di analisi e
valutazione del suo 'curriculum criminale', contraddistinto da
numerosi episodi delittuosi di natura tributaria, fallimentare e
contro il patrimonio. L'uomo sarebbe passato, in pochi anni, da
truffe di lieve entità all'ideazione di articolati meccanismi di
frode evasivo-fallimentari. In questo modo avrebbe accumulato un
'tesoretto' di circa 9 milioni di euro, che contrasta con i
redditi irrisori dichiarati negli anni (poco più di 400 mila
euro in 25 annualità d'imposta). Secondo i finanzieri, la
maggior parte delle risorse utilizzate per perfezionare
dispendiosi investimenti societari e immobiliari tra Bologna e
la Riviera Romagnola provenivano -come ricostruito grazie alla
cooperazione giudiziaria internazionale- da conti correnti
accesi in una banca croata, dove venivano dirottate le somme
provenienti dalle società 'pilotate al fallimento'. Le risorse
venivano poi fatte rientrare in Italia mediante vari escamotage
per essere reimpiegate in rilevanti investimenti immobiliari e
commerciali.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA