La Dda di Firenze ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta aperta alcuni anni fa sul disastro della Moby Prince, il traghetto andato a fuoco il 10 aprile del 1991, dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo davanti al porto di Livorno: 140 morti, di cui 26 sardi. E' quanto emerso oggi in occasione dell'audizione, in Commissione parlamentare di inchiesta, del procuratore capo di Firenze Filippo Spiezia e del suo collega livornese Maurizio Agnello.
In particolare, come poi spiegato da Spiezia, per l'ipotesi di reato di competenza della Direzione distrettuale antimafia, ovvero la strage con finalità eversiva, "non è stato trovato alcun concreto elemento di riscontro". Spiezia, la cui audizione è stata segreta, ha poi detto che "doverosamente il mio ufficio rimane aperto a qualsiasi eventuale ulteriore prospettiva che dovesse eventualmente indicare, o suggerire la Commissione all'esito dei suoi lavori: noi abbiamo condotto un procedimento a carico di ignoti, le indagini erano scadute quindi non si poteva fare altro ma nulla impedisce, perché si tratta tra l'altro di reati imprescrivibili, per quanto ci riguarda, che se dovessero emergere input ulteriori, potranno essere avviati ulteriori accertamenti".
Agnello, dal canto suo, oltre a rendere noto che la Dda ha chiesto l'archiviazione, ha spiegato che la procura livornese sta invece ancora "vagliando le conclusioni che la polizia giudiziaria delegata, la guardia di finanza di Firenze, ha rassegnato in un'informativa di oltre 1.400 pagine", ma "abbiamo l'obbligo di individuare possibili prove di colpevolezza per reati dolosi e non colposi, perché in quest'ultimo caso sarebbero tutti ormai prescritti a 34 anni dai fatti".
Il magistrato ha aggiunto che l'informativa, pur molto dettagliata, non "fornirebbe sufficienti certezze" sulla dinamica della collisione e che "tre commissioni parlamentari d'inchiesta hanno cercato di far luce su questa enorme disgrazia", insistendo sulla "presenza della nebbia" come possibile principale causa dell'incidente. Parole che hanno suscitato perplessità in alcuni commissari e indignato i familiari delle vittime: alcuni deputati lo hanno richiamato "a ragionare sul cosiddetto dolo eventuale o sulla colpa cosciente" per eventualmente perseguire reati oggi non ancora prescritti.
Il dem Matteo Mauri ha fatto notare "che le due precedenti commissioni parlamentari hanno completamente smontato quelle sentenze che lei oggi vuole tenere in considerazione per la sua ricostruzione, quindi qualcosa in più penso che si potesse fare". "Ascoltando Agnello - hanno affermato Luchino Chessa e Nicola Rossetti, presidenti delle due associazioni dei parenti delle vittime - ci è sembrato di essere tornati indietro al 1991.
Le affermazioni di oggi sono particolarmente sconcertanti. Dopo 34 anni, Agnello è tornato a parlare di nebbia come possibile causa della collisione, di un traghetto troppo veloce che con una rotta lineare centra la petroliera ancorata in zona interdetta all'ancoraggio e con la prua a nord. Scenari oramai superati e che attribuiscono la responsabilità della più grave tragedia della navigazione mercantile italiana e la più grande strage sul lavoro alla condotta imprudente dell'equipaggio del traghetto".
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