A carico di Vincenzo Campanile, ex
anestesista del 118 di Trieste condannato per la morte di 9
pazienti affidati alle sue cure c'è "una pluralità di elementi
di fatto che rivela che l'intento" del medico "in tutti i casi
presi in considerazione nel presente processo, non fosse quello
di procedere alla sedazione palliativa, bensì quello di uccidere
i pazienti, sia pure - si crede - allo scopo di porre fine alle
loro sofferenze". E' quanto si legge, a quanto riferisce 'Il
Piccolo', in un passaggio delle motivazioni della sentenza con
cui la Corte d'Assise di Trieste ha condannato nel febbraio
scorso il medico a 15 anni e 7 mesi per omicidio volontario. Per
l'ex anestesista, licenziato da Asugi dopo che il caso era
emerso, i pm Cristina Bacer e Chiara De Grassi avevano
sollecitato una condanna a 25 anni e 6 mesi.
Oltre che di omicidio volontario, Campanile deve rispondere
anche di falso in atto pubblico. Nei verbali degli interventi,
infatti, non aveva riportato l'utilizzo dei medicinali
considerati letali. "La somministrazione del Propofol - fa
notare la Corte - sarebbe stata pacificamente controindicata in
relazione alle specifiche condizioni dei pazienti".
I fatti contesati al medico vanno dal novembre 2014 e al
gennaio 2018. Il caso è scoppiato dopo il decesso dell'81enne
Mirella Michelazzi, soccorsa da Campanile il 3 gennaio 2018
nella casa di cura 'Mademar' e era stato somministrato il
Propofol.
Nelle motivazioni la Corte spiega che "l'effetto del Propofol
interviene entro pochissimi minuti dalla sua inoculazione, esso
però cessa altrettanto rapidamente. Una sedazione palliativa che
venga attuata con il Propofol presuppone necessariamente un
altro intervento sedativo entro breve termine. In altre parole,
occorrerebbe impostare un piano terapeutico che mantenga la
sedazione fin quando non si verifichi il decesso per il decorso
delle patologia in atto, quindi per un arco temporale non
preventivabile e che dunque potrebbe essere anche lungo. Allora
è evidente che un'unica infusione non poteva sostenere un
intervento di sedazione palliativa".
Per i giudici, però, "posto che in tutti i casi considerati
Campanile ha espressamente negato di effettuare il trasporto dei
pazienti in ospedale, l'inoculazione di un'unica dose del
farmaco rivela la consapevolezza che essa sarebbe stata
risolutiva, ossia sarebbe stata sufficiente a condurre il
paziente a morte". La Corte tuttavia ha riconosciuto all'ex
anestesista le attenuanti generiche perché avrebbe agito "per
interrompere la sofferenza" dei pazienti, ossia "il medesimo
obiettivo cui mirano le cure palliative" anche se Campanile lo
ha "perseguito con modalità illecite".
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