Nel 2024, sono state 113 le donne uccise, 99 delle quali in ambito familiare-affettivo. Sessantuno per mano del partner o dell'ex. Ma la stampa come racconta femminicidi e violenza di genere? C'è un netto "miglioramento", ma ancora tanta strada da fare. A mostrarlo è il nuovo Rapporto dell'Osservatorio indipendente Step-Ricerca e Informazione, impegnato nel contrasto di stereotipi e pregiudizi nella rappresentazione della violenza contro le donne.
Promosso dall'Università Sapienza di Roma, con l'Università della Tuscia e le Commissioni Pari Opportunità di Ordine dei giornalisti, Fnsi, Usigrai e con Giulia giornaliste, monitora quotidianamente il racconto della violenza su 25 testate nazionali per verificare i progressi del Manifesto di Venezia e contribuire a una corretta rappresentazione della violenza alle donne.
Su un totale di 25 testate e 3671 articoli presi in esame, illustra la presidente dell'Osservatorio Flaminia Saccà, sono Il Messaggero (9,9%), La Gazzetta del Mezzogiorno (8,8%) e Il Gazzettino (7,5%) i quotidiani che nel 2024 hanno condiviso il maggior numero di articoli su casi di violenza contro le donne.
Il mese con più contenuti è novembre (14%), in cui si celebra anche la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, mentre maggio ha il dato più basso (2%). La maggior parte degli articoli tende a focalizzarsi su più di una forma di violenza simultaneamente. In termini assoluti, il più diffuso è il femminicidio (25%), seguito da violenza sessuale (20%), lesioni personali (18%) e violenza domestica (17%). In ben il 74% degli articoli si tratta di violenza in cui la donna conosce il suo aggressore, che è quasi sempre un familiare (70%), mentre sono nettamente inferiori i casi in cui tra i due non sussistono relazioni (23%). Nel 71,9% degli articoli il rapporto di coppia è inquadrato come problematico. Quanto al movente, tra i più citati ci sono prevaricazione-dominio (46%), gelosia-possessività (34%).
Minore, ma ancora presente nei media, il raptus (3%). A chi viene data la parola? Alle vittime (in prima persona o attraverso rappresentanti) in 5063 casi; all'offender in 3027 casi. Nel caso di legali, lo spazio offerto è simile. La vititma però continua a essere descritta soprattutto per le sue caratteristiche anagrafiche, poco per la sua prospettiva sulla violenza. A caratteri cubitali troviamo la sua età, in piccolo Terrorizzata, Disperata, Sconvolta, Paura. L'offender rispetto a rilevazioni precedenti, comincia a essere messo a fuoco: nella vasta maggioranza dei casi è l'Ex partner. Più in piccolo è il Marito. Lo si definisce Geloso, Violento, Brutale, più sporadicamente Crudele, Feroce, Aggressivo, Pericoloso. E si tende a insistere sulle sue origini.
"L'approccio narrativo e i termini sono importanti perché rischiano di perpetrare stereotipi che possono diventare quasi mandanti del reato - commenta Mimma Caligaris, giornalista Osservatorio Step e Cpo Fnsi - Il femminicidio di Giulia Cecchettin è stato uno spartiacque, per tante ragazze che hanno trovato la forza di chiedere aiuto, ma anche per noi giornalisti. Attenzione innanzitutto ai termini - invita - Il femminicidio non è un incidente, ne' un raptus. Non usare diminutivi come 'fidanzatino' ne' virgolettati 'giustificanti'. E niente foto di ex coppie felici o di figli".
"I dati dimostrano come sia necessario prendere coscienza, perché il linguaggio è il primo passo per un cambiamento", aggiunge Mara Pedrabissi, presidente della Cpo della Fnsi. Un invito che arriva "non solo dal Manifesto di Venezia", ma anche "dal Codice deontologico dei giornalisti e delle giornaliste dell'Ordine che entrerà in vigore dall'1 giugno e ha raccomandazioni molto serie".
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