- ROMA - La rete internet che arranca, un'ora di scuolabus ogni giorno per entrare in classe, le consegne di pacchi a domicilio dopo 15 giorni, e un'ora di viaggio almeno per una visita medica specialistica. Sono alcuni degli ostacoli da mettere in conto per chi vuole fare impresa agricola in montagna o nelle aree interne più vocate per le produzioni biologiche e biodinamiche, dove sono attive, precisa Federbio, il 46% delle imprese agroalimentari italiane, con una presenza significativa di aziende gestite da giovani (9,2%) e da donne (25%).
"Un nuovo frantoio, un nuovo panificio rurale, non possono essere solo begli esempi eroici. Serve un piano europeo per le aree interne per facilitare la "restanza" e la "tornanza" in campagna. Ma si potrà scegliere tra il vivere in una grande città o in un'area interna solo se vi saranno garantiti i servizi e le infrastrutture per i cittadini di ogni età" ha detto l'europarlamentare del Pd Camilla Laureti, intervenuta alla Festa del bio-MontagnaMadre, promossa da Federbio e Slow Food Italia all'Orto Botanico di Roma. Mentre da Ascoli Piceno il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida ha ribadito l'importanza di garantire un equo riconoscimento economico per i prodotti biologici, ma ha criticato la complessità della burocrazia europea nella registrazione di nuovi prodotti a basso impatto ambientale.
Nel biologico, ha sottolineato il sottosegretario all'Agricoltura Luigi D'Eramo, "siamo tra i paesi leader in Europa: entro il 2030 dovremmo raggiungere a livello comunitario il 25% di superficie a conduzione bio e oggi l'Italia già conta circa il 20% di superficie già destinate al biologico con diverse regioni, in particolar modo nel Centro Sud Italia, che hanno già di gran lunga superato la quota del 25%.
Sostanzialmente - ha sottolineato D'Eramo - abbiamo dimostrato di aver saputo interpretare al meglio questa filosofia produttiva ed è tempo che l'agricoltura abbracci anche altre sfide: una di queste è il tema relativo alle realtà di montagna per frenare lo spopolamento".
In 20 anni, dal 2000 al 2020, ha ricordato Maria Grazia Mammuccini, presidente di Federbio, "l'Italia ha perso il 52% delle aziende agricole e il 75% di queste le abbiamo perse nei territori collinari. Le aree interne sono il 75% del nostro territorio, quindi il cuore dell'agricoltura. Un ecosistema fragile per i cambiamenti climatici ma soprattutto per l'abbandono legato al tragico errore di aver puntato su modelli intensivi mentre per il futuro sono strategici i biodistretti".
Nelle nuove generazioni, ha evidenziato Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia, "moltissimi giovani vogliono tornare nelle aree interne o vogliono andarci per la prima volta. Ma non sono aiutati da nessuno e se voltano le spalle alle luci delle città lo fanno 'nonostante tutto'. E quel made in Italy da record nelle nostre esportazioni agroalimentari deriva da un modello agricolo di piccola e media scala che sopravvive anch'esso 'nonostante tutto'. I progetti Slow Food, a partire dai 400 presidi prodotti da duemila piccoli agricoltori, non sono passatisti - rivendica la presidente - e non guardano con nostalgia all'albero degli zoccoli. Anzi, ripropongono Il contadino come un mestiere moderno e che guarda al futuro. Proviamo a far sistema perché il fatto che un tipo di cibo collegato ad un territorio sia salvaguardato significa che una bottega in quel territorio rimane aperta o che arrivino enoturisti ed oleoturisti. Serve l'innovazione, servono competenze, servono delle politiche che sostengano l'80% dell'agricoltura italiana che attualmente invece riesce a intercettare solo il 20% delle risorse messe a disposizione. Benissimo perciò i distretti biologici, perché non esprimono soltanto un modello agricolo ma anche un modello sociale".
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