E' stata finalmente completata la mappa del Dna dei primati: non ci sono più zone buie nei genomi di scimpanzé, bonobo, gorilla, oranghi e siamango e avere questo quadro completo apre nuovi scenari sull'evoluzione così come sulle relazioni fra gli esseri umani e gli altri primati.
Pubblicato sulla rivista Nature, il risultato si deve al lavoro di squadra di 160 ricercatori di tutto il mondo, compresi italiani dell'Università di Bari, coordinati da Dong Ahn Yoo, del dipartimento di Scienze genomiche della University of Washington School of Medicine a Seattle.
Per la prima volta i genomi completi delle grandi scimmie sono stati letti da cima a fondo, senza errori o interruzioni, grazie a tecnologie all'avamgiardia che hanno permesso di raggiungere un'accuratezza record.
"Si aprono scenari completamente nuovi per comprendere l'evoluzione della nostra specie e dei primati a un livello di dettaglio che fino a ieri era semplicemente impensabile", osserva Mario Ventura dell'Università 'Aldo Moro' di Bari, che è fra gli autori dell'articolo con i colleghi Francesca Antonacci, Francesco Montinaro e Luciana de Gennaro. "Disporre di genomi completi - prosegue Ventura - ci consente di esplorare regioni del Dna finora inaccessibili, quelle più complesse, ripetitive, e quelle coinvolte nei processi regolatori, nello sviluppo del cervello o nelle risposte immunitarie".
"I dati che abbiamo generato - rileva ancor Ventura - serviranno per decenni, aprendo strade promettenti nello studio delle malattie genetiche, del funzionamento del sistema immunitario e dei meccanismi cerebrali più profondi".
E' una miniera di informazioni, quella portata alla luce da questa ricerca, che ha permesso di indivuare più di 3.000 nuove regioni del Dna che si sono evolute rapidamente lungo la linea umana, molte delle quali associate a geni importanti per funzioni complesse come lo sviluppo cerebrale e la vocalizzazione. Sono venuti alla luce anche migliaia di geni finora sconosciuti, anche questi coinvolti nell'evoluzione del cervello umano e diventa possibile stabilire che esseri umani e scimpanzè hanno separato le loro strade evolutive tra 5,5 e 6,3 milioni di anni fa.
Non si tratta solo di nuove conoscenze, ma di strumenti che in futuro potrebbero aprire la strada a nuovi studi sulle malattie genetiche e immunitarie, come sui meccanismi evolutivi legati al cervello e al linguaggio umano. Come sottolineano gli autori della ricerca, questa nuova base genomica sarà una risorsa fondamentale per decenni, destinata a rivoluzionare il nostro modo di studiare l'evoluzione.
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