Da oltre un secolo, si sono accesi i riflettori in Italia sui Macchiaioli, quel gruppo di artisti, toscani, ma anche veneti o piemontesi - da Giovanni Fattori a Telemaco Signorini, Federico Zandomeneghi, Silvestro Lega, Vito D'Ancona, Giuseppe Abbati o Vincenzo Cabianca -, che a metà dell'Ottocento aveva eletto a dimora il Caffè Michelangelo, a Firenze.
Autori di piccoli dipinti su tavola o grandi tele, con lo
stile della "macchia" di impronta positivista, di paesaggi
maremmani, di ritratti, di popolani o butteri, di scene con
soldati a cavallo o battaglie per costruire l'Italia, proposti
ora a Padova, a Palazzo Zabarella, fino al 18 aprile, con un
taglio critico che offre una visione del movimento e dei suoi
protagonisti quasi laterale, ma di certo feconda di risultati.
Oltre cento le opere in mostra.
L'esposizione, "I macchiaioli. Capolavori dell'Italia che
risorge" - sotto titolo quanto mai importante in epoca di
pandemia da Covid-19 -, organizzata dalla Fondazione Bano,
curata da Giuseppe Matteucci e Fernando Mazzocca, appare, anche
grazie al suo taglio innovativo, come un ideale "secondo
capitolo" della ricerca, portata avanti dalla Fondazione guidata
da Federico Bano e Mazzocca, centrata sul movimento che in
Italia apriva l'arte alla modernità e nel contempo era
portatore, con molti dei suoi esponenti, di una azione diretta
sul campo, da volontari in battaglie e spedizioni, al volere
risorgimentale di dare vita a un'Italia unita e democratica.
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