Il 4 giugno del 1944,
Roma è finalmente libera. I soldati statunitensi sfilano per le
strade cittadine in mezzo alla folla che esulta per la
liberazione dall'occupazione nazifascista. Il giorno seguente,
il 5 giugno, Papa Pio XII parla al popolo romano esprimendo
gratitudine ma invitando a frenare istinti di rancore e di
vendetta. Ma cosa ha detto e fatto Papa Pacelli nei mesi
precedenti? Perché pur essendo ricordato come "defensor urbis",
il difensore della città, dopo la morte sarà perseguitato dalla
"leggenda nera" di Pontefice indifferente e inerme di fronte
alla persecuzione degli ebrei? Ottant'anni dopo, un podcast in
quattro episodi di Radio Vaticana - Vatican News, "Pio XII e la
Shoah", prova a rispondere a questi interrogativi attraverso la
viva voce di Pio XII, estratta dall'archivio editoriale
multimediale della Radio Vaticana, e le ricerche sui nuovi
documenti di quel pontificato, accessibili agli studiosi solo
dal 2020.
"Niuno potrebbe rimproverare la Chiesa di non avere
denunziato e additato a tempo il vero carattere del movimento
nazionalsocialista e il pericolo a cui esso esponeva la civiltà
cristiana": sono queste parole di Pio XII, pronunciate a guerra
finita, il 2 giugno 1945, a dare il via nel primo episodio al
dialogo tra il professor Napolitano, storico e docente
all'Università degli Studi del Molise, autore del volume "Il
secolo di Pio XII" (Luni editrice), e Andrea Tornielli,
direttore editoriale dei media vaticani e autore di diversi
saggi dedicati proprio a Papa Pacelli.
Napolitano ricorda che la posizione di condanna di Pio XII
rispetto ad Hitler era chiara e cita l'invio, sempre nel '45, di
tre messaggi papali ai sovrani di Belgio, Olanda e Lussemburgo,
paesi neutrali che erano stati invasi e poi liberati. "Il
ministro britannico Osborne - sottolinea lo storico - affermò
che quei telegrammi di solidarietà erano da lui considerati
all'epoca 'una solenne condanna dell'aggressione nazista' e
infatti provocarono un'aspra reazione negli ambienti tedeschi".
Tornielli mette invece in luce la stima di Pacelli per il popolo
tedesco, frutto del servizio svolto come nunzio, prima della
guerra, sia a Monaco di Baviera che a Berlino, e di conseguenza
la sua preoccupazione per l'evolversi del "germe malefico del
nazismo".
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