(di Fausto Gasparroni)
Il promotore di
giustizia vaticano, Alessandro Diddi, snocciola le sue
conclusioni al processo sul palazzo di Londra e sugli altri
presunti illeciti con i fondi della Segreteria di Stato. E sono
richieste pesanti. Spicca fra tutte quella di sette anni e tre
mesi di reclusione per il cardinale Angelo Becciu - accusato di
peculato, abuso d'ufficio e subornazione di testimone - per il
quale il pg chiede anche l'interdizione perpetua dai pubblici
uffici, una multa di poco più di 10 mila euro e la confisca di
14 milioni di euro. Ed è la prima volta che in Vaticano accade
che si chieda una condanna detentiva per un porporato - per
quanto privato dal Papa delle prerogative del cardinalato -, con
le relative pene accessorie e per di più in un Tribunale
composto da laici.
Alla sesta e ultima giornata della requisitoria dell'accusa -
la 67/a dall'inizio del dibattimento in aula - Diddi riserva
conclusioni severe, oltre che per Becciu, anche per gli altri
nove imputati del processo, per un totale complessivo di 73 anni
e un mese di reclusione: tre anni e otto mesi per René Brulhart,
ex presidente Aif (l'autorità anti-riciclaggio vaticana); cinque
anni e quattro mesi per mons. Mauro Carlino, ex dell'Ufficio
amministrativo; nove anni e nove mesi per il consulente
finanziario Enrico Crasso; quattro anni e tre mesi per Tommaso
Di Ruzza, ex direttore Aif; quattro anni e otto mesi per la
sedicente "analista geopolitica" Cecilia Marogna; undici anni e
cinque mesi per il broker Raffaele Mincione; sei anni per
l'avvocato Nicola Squillace; 13 anni e tre mesi, la richiesta
più alta, per l'altro ex funzionario dell'Ufficio amministrativo
Fabrizio Tirabassi; sette anni e sei mesi per l'altro broker
Gianluigi Torzi.
I reati di cui devono rispondere vanno, a vario titolo,
dall'abuso d'ufficio al peculato, dall'estorsione alla
corruzione, dalla truffa all'appropriazione indebita, fino al
riciclaggio e all'auto-riciclaggio. Anche per tutti gli altri,
pene pecuniarie, interdittive e confische (fanno spicco quelle
per oltre 172 milioni di euro per Mincione e quasi 100 milioni
per Tirabassi). Ugualmente sanzioni pecuniarie, interdittive e
confische anche per le quattro società coinvolte, quella di
Cecilia Marogna e le tre di Enrico Crasso.
Il promotore di giustizia ha quindi tradotto così, nei capi
d'accusa e nelle relative richieste di condanna, la sua visione
sui fondi della Segreteria di Stato, che dovrebbero servire ad
opere di carità o al mantenimento della Curia, e comunque
andrebbero amministrati "con parsimonia", usati invece
impropriamente e illecitamente in spericolate operazioni
finanziarie "altamente speculative", o destinati a finanziamenti
come quelli alla cooperativa sarda Spes del fratello di Becciu,
o all'asserita mediatrice in rapimenti di religiosi Marogna, che
li ha spesi invece in acquisti personali, voluttuari e in
lussuosi resort.
Nel caso di Becciu, tra l'altro, Diddi ha spiegato che il
calcolo della pena è stato meno indulgente rispetto agli altri,
a causa dell'atteggiamento processuale non collaborativo, di
radicale opposizione e tentata delegittimazione verso l'operato
dei magistrati. "Sulla base di teoremi clamorosamente smentiti
in dibattimento, il promotore di giustizia ha continuato a
sostenere una tesi sganciata dalle prove - dichiarano i legali
del cardinale, Maria Concetta Marzo e Fabio Viglione - Quanto
alle richieste, neanche un giorno sarebbe una pena giusta. Solo
il riconoscimento dell'assoluta innocenza e l'assoluzione piena
rispecchiano quanto accertato in modo chiarissimo. Il cardinale
è stato sempre un fedele servitore della Chiesa ed ha sofferto
in silenzio, difendendosi nel processo e partecipando
attivamente alle udienze. Sottoponendosi per diverse giornate ad
estenuanti interrogatori ha chiarito ogni equivoco, dimostrando
assoluta buona fede e correttezza".
Ora il processo si ferma per la pausa estiva. Riprenderà il
27 settembre con tre udienze consecutive riservate alle parti
civili. Poi, dal 5 ottobre al 6 dicembre ce ne saranno 15
dedicate alle difese. In seguito, presumibilmente prima di
Natale, la sentenza, a circa due anni e mezzo dall'inizio del
processo.
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