Quattro dei sedici soldati
dell'esercito ecuadoriano processati per la sparizione e
l'uccisione di un gruppo di adolescenti del quartiere Las
Malvinas, nella città di Guayaquil, hanno ammesso di aver
inferto botte, calci, torture e di aver simulato un'esecuzione,
ma insistono di non aver commesso l'omicidio di Steven Medina,
di 11 anni, Josué Arroyo, di14, e Saúl Arboleda e Ismael Arroyo,
di 15.
E' quanto emerso nell'ultima udienza del processo per il caso
che scuote da mesi l'opinione pubblica ecuadoriana mettendo in
forte discussione la politica di lotta alla criminalità
organizzata avviata dal governo conservatore di Daniel Noboa,
con lo stato di eccezione costituzionale decretato a gennaio del
2024 e prorogato ad aprile per la nona volta.
Il bambino e i tre adolescenti, secondo quanto emerso da
riprese di telecamere di vigilanza, vennero intercettati e
prelevati da una pattuglia della Forza aerea ecuadoriana l'8
dicembre del 2024 a Guayaquil e i loro resti calcinati sono
riapparsi solo dopo 16 giorni, alla vigilia di Natale, in uno
scampato a chilometri di distanza.
La confessione dei militari, che insistono di aver
abbandonato i quattro ragazzi con vita, è avvenuta nell'ambito
di un accordo di collaborazione che potrebbe ridurre la pena per
il delitto di sequestro, ma gli avvocati delle famiglie delle
vittime insistono che si tratta di un omicidio e che porteranno
il caso anche al Comitato contro le sparizioni forzate delle
Nazioni Unite.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA