"Non legittimate" il regime dei talebani in Afghanistan, che nega alle donne il diritto all'educazione e non le considera neanche esseri umani: è un'invocazione potente quella rivolta ai Paesi musulmani da Malala Yousafzai, Premio Nobel che per il diritto delle ragazze ad andare a scuola si è presa un proiettile in testa dai talebani, quando cercarono di assassinarla a soli 15 anni.
Malala, che a 17 anni è diventata anche la più giovane vincitrice di un premio Nobel per la Pace e vive da 12 anni in esilio in Occidente, è tornata nel suo Paese natale per intervenire ad un vertice di Paesi a maggioranza musulmana a Islamabad dedicato proprio al futuro dell'istruzione femminile e l'Islam: un evento al quale non a caso hanno declinato l'invito a partecipare proprio i fondamentalisti tornati al potere a Kabul nel 2021.
Prendendo la parola in chiusura dell'evento, Malala ha messo nel mirino i talebani afghani e Israele, che a Gaza in 15 mesi di guerra "ha decimato l'intero sistema educativo". Gli israeliani "hanno bombardato tutte le università, distrutto più del 90% delle scuole e attaccato indiscriminatamente i civili che si rifugiavano negli edifici scolastici", ha denunciato la Nobel. Le donne, ha proseguito Malala, "vivono in condizioni terribili" in molti Stati della Ummah (la comunità dei credenti islamici), come nello Yemen o in Sudan, sottostando "a povertà, violenza e matrimoni forzati". Ma in aggiunta a tutto questo, nell'Afghanistan dei talebani alle bambine sopra gli 11 anni viene impedito di andare a scuola, unico Paese sul pianeta.
"Un'intera generazione di ragazze afghane viene derubata del proprio futuro", ha detto ai leader dei Paesi islamici la 27enne. "I talebani - ha proseguito - sono espliciti nella loro missione: vogliono eliminare le donne e le ragazze da ogni aspetto della vita pubblica e cancellarle dalla società. Hanno creato un sistema di apartheid di genere". In altre parole, "non considerano le donne degli esseri umani". E in questo, ha rimarcato, "non c'è nulla di islamico".
Anzi, "questo va contro tutto ciò che la nostra fede rappresenta. Si tratta di violazioni dei diritti umani che nessuna scusa culturale o religiosa può giustificare". Quindi l'appello: "Non legittimateli. Non scendete a compromessi sulla nostra fede".
Di etnia pashtun, nata e cresciuta nella Swat Valley, nel nord-ovest del Pakistan a ridosso del confine afghano, una delle roccaforti dei talebani, Malala Yousafzai fu colpita da alcuni militanti con un colpo di pistola mentre tornava a casa dalla scuola il 9 ottobre del 2012 perché si era messa in luce proprio rivendicando su un blog il diritto a sedere in classe contro chi le scuole femminili voleva chiuderle, con le buone o con le cattive. Miracolosamente sopravvissuta al proiettile che le entrò da una tempia e uscì dalla spalla, fu operata e riabilitata in Inghilterra e insignita due anni dopo del Nobel. A Birmingham, dove vive in esilio da allora, ha creato il Malala Fund, che lavora per la scolarizzazione delle donne nel mondo, in particolare di quello islamico.
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