I volantini con gli ordini aggiornati dell'esercito israeliano sono planati dal cielo nel campo profughi di Jabalya, nel nord della Striscia, di prima mattina: "Avvertimento urgente per gli abitanti di Jabalya, Shajaya, Zeitun e della Città vecchia di Gaza. Vi sollecitiamo a sgomberare quelle zone con la massima urgenza passando attraverso le vie Khalil al-Wazir e al-Wahda, verso i luoghi sicuri già noti nel settore occidentale della città". Nella scuola al-Quds, situata nel lato orientale di Jabalya, i fratelli Abdel Salam e Abdallah Yusef hanno fatto un esame della situazione e hanno deciso, malgrado tutto, di restare. "Come facciamo a spostarci - dicono al telefono con l'ANSA - con due genitori anziani che quasi non si possono muovere? Qui non ci sono mezzi di trasporto...". Lungo quel tragitto, aggiungono, occorre passare fra carri armati, da Jabalya inoltrarsi verso il rione Sheikh Radwan ed infine raggiungere l'ospedale Shifa che viene indicato dall'esercito come un luogo sicuro. "Otto chilometri, come minimo", stimano. Nelle loro condizioni non resta altra scelta che restare nella scuola al-Quds, malgrado tutto.
"Attorno a noi - raccontano ancora - tutte le case private sembrano deserte, abbandonate". Nelle settimane scorse l'esercito ha intimato alla popolazione di passare nel settore sud di Gaza ma oltre 20 mila abitanti (un quarto dei residenti abituali) sono rimasti. "La nostra casa - dicono i fratelli Yusef - è proprio nel centro di Jabalya. Chi avrebbe pensato che sarebbe divenuta zona di guerra?" Quanti sono rimasti, anche dopo la settimana di tregua, sono adesso chiusi in quattro edifici scolastici dell'Unrwa. In ciascuno di loro ci sono, a quanto pare, migliaia di persone.
"Da tre giorni non ci avventuriamo per strada. Troppo pericoloso". Nelle scuole c'è sovraffollamento. Nei cortili sono state erette delle tende. Nei limiti del possibile, alle donne vengono assegnate le classi e le stanze interne, mentre gli uomini restano all'aperto: "Quando iniziano i bombardamenti ci infiliamo tutti nelle classi. Cessato l'allarme, usciamo fuori".
Molti si lamentano che il cibo scarseggia, e così pure l'acqua. In giornata, seguendo le istruzioni dell'esercito, alcuni di loro sono passati da Jabalya all'ospedale Shifa, che rappresenta al momento il principale luogo di raccolta per gli sfollati nel nord. Ma anche lì il vitto e gli aiuti umanitari scarseggiano. "Non ci resta che aspettare che l'esercito completi le sue operazioni militari a Jabalya e che qui il fuoco cessi del tutto", dicono i fratelli Yusef. Sperando ovviamente di restare vivi.
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