Il segnale dei mercati è chiaro: uscire dalle posizioni in dollari, che siano investite in Borsa o nei titoli di Stato. Un indice di sfiducia nelle prospettive dell'economia Usa. Ma anche, secondo qualcuno, nel ruolo centrale che il dollaro gioca nei commerci globali dal 1930 in poi. Ecco perché Pechino, per il momento, assiste tranquilla al 'danno auto-inflitto' di cui molti incolpano Washington. E puo' permettersi di rispondere colpo su colpo: sul cambio, dove fa intravedere una minacciosa svalutazione dello yuan; sui dazi, con un'escalation reciproca; sul debito, dove può usare il suo portafoglio da 740 miliardi di dollari in treasuries per vendere, e contribuire alla crisi di fiducia.
Se Trump, agitando lo spauracchio delle 'stablecoin' e facendo ordini esecutivi contro l'euro digitale, voleva rafforzare il ruolo del dollaro, con il clamoroso ottovolante dei dazi rischia l'opposto. I treasuries sono di nuovo ai livelli di guardia che avevano spinto Trump, due giorni fa, al clamoroso 'dietrofront' sui dazi reciproci. E il biglietto verde precipita ai minimi di tre anni sull'euro, con persino la Svizzera che fa fronte comune con l'Ue. Barry Eichengreen, uno dei maggiori storici dell'economia e della moneta, legge negli eventi di oggi un'analogia con l'errore di Winston Churchill nell'aprile del 1925 che fece soppiantare la sterlina proprio dai dollari: "per chi vuole difendere lo status di valuta globale del dollaro la lezione è chiara", scrive su Project Syndicate. "Evitare l'instabilità finanziaria, non permettendo ai problemi della sfera 'crypto' di contagiare il resto del sistema bancari e finanziario. Limitare il ricorso ai dazi, perché l'ampio uso del dollaro nel mondo deriva dalle relazioni commerciali degli Usa col resto del mondo. E difendere le alleanze geopolitiche del Paese".
Che Trump stia facendo l'opposto è qualcosa che sta facendo sorridere Xi Jinping, al netto delle conseguenze potenzialmente nefaste che ci saranno per l'economia cinese. Per ora, Pechino può permettersi di rispondere con dazi al 125% contro il 145% inflitto da Washington. Mentre assiste allo sfibramento quotidiano dell'alleanza atlantica da parte degli uomini di Trump, la Cina guarda sorniona alla caduta del dollaro e non lascia certo che lo yuan si apprezzi come dovrebbe: anzi, dà segnali di un deprezzamento che ha il sapore di una minaccia perché sterilizzerebbe in parte i dazi rendendo i beni cinesi meno costosi. E ne agita un'altra, quella del debito. Non arrivano né conferme né smentite al sospetto che ci sia Pechino dietro le vendite pesanti di treasuries, accadute nei giorni scorsi con picchi che coincidono con l'apertura delle piazze asiatiche, mentre gli americani dormivano. Di certo i rendimenti tornati oggi al 5% sono un bel problema: di bilancio perché il debito costerà di più. E di fiducia, perché gli Usa devono rimettere a posto i conti pubblici e sempre più soldi in uscita dalle Borse, anziché venire parcheggiati nel porto sicuro della tripla A americana (di Moody's e S&P Global), vanno in quello tedesco del bund o , per stare proprio al sicuro, in pura e semplice liquidità.
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