di Marzia Apice
RITA MONALDI & FRANCESCO SORTI, DANTE
DI SHAKESPEARE. AMOR CH'A NULLO AMATO (Solferino, pp. 352, 19
Euro). Sembra il frutto di una magia, l'ultimo, sorprendente e
coltissimo libro di Rita Monaldi e Francesco Sorti, autori per
Solferino del "Dante di Shakespeare" (in libreria dal 4
febbraio). Una bella operazione culturale che, proprio nell'anno
che celebra Dante, la coppia di scrittori (insieme anche nella
vita) ha realizzato con in mente un obiettivo "folle": mettersi
"nella penna" di Shakespeare (immaginando il ritrovamento di un
dramma perduto del Bardo) per rappresentare in una trilogia
teatrale la vita del Sommo Poeta, intrecciandola alla Divina
Commedia. In questo primo volume (qui si racconta l'Inferno,
seguiranno poi Purgatorio e Paradiso entro due anni), il genio
di Stratford mette in scena dunque l'infanzia e la giovinezza di
Dante, tra avventure e disavventure, tradimenti, lotte, incubi e
visioni. "Questo progetto è nato dalla passione più viscerale,
dall'impulso di introdursi nelle vene di grandi profeti come
Shakespeare e Dante per 'completare' la loro vita utilizzando il
loro stesso sangue. Perché a Shakespeare, che ha tanto preso
dalla Divina Commedia, un dramma su Dante mancava proprio. E a
Dante mancava qualcuno che sapesse raccontarlo come una cosa
viva, come solo Shakespeare è in grado di fare. Ad un certo
punto quindi le loro strade si sono necessariamente incontrate
dentro di noi", spiegano gli autori intervistati dall'ANSA. Come
vi siete preparati per un'impresa così ambiziosa? "Immergendoci
fino al collo nei drammi di Shakespeare e nello sterminato campo
della dantistica. La vulgata degli studi danteschi ci
restituisce l'immagine di un Dante e di una Commedia quasi
impossibili da rappresentare con successo. Dovevamo trarne lo
spettacolo epico che ne avrebbe fatto Shakespeare, ma ben
badando a mantenere l'attendibilità storica". Quale è stata la
maggiore difficoltà incontrata? "Ci siamo arrampicati come due
pulci sulle vesti di Dante e Shakespeare, per scrutare lo stesso
panorama che era alla loro portata. Su di loro vengono
presentate pubblicazioni ogni giorno. Stare al passo con questo
dialogo secolare è impresa sovrumana. Su ogni aspetto abbiamo
fatto una scelta ben precisa e dato una fondata interpretazione,
come spieghiamo nelle appendici finali, sciogliendo anche
qualche enigma. In fase di scrittura, con la mano di
Shakespeare, abbiamo fatto emergere la sagoma dei protagonisti
dalla tenebra delle notizie storiche". Grazie a questo libro
riusciremo a vedere rappresentata in tv la Divina Commedia? "La
Rai ha annunciato al Cda e al MIA di voler fare la serie, ed è
il momento giusto: mentre la BBC da decenni esporta il suo
Shakespeare in tutto il mondo, su Dante la nostra tv pubblica
era ferma a un vecchio docudrama del 1965. Ma essendo adesso
arrivata a capo di Rai Fiction una donna di letteratura come
Maria Pia Ammirati, gli auspici sono ottimi". Quali elementi
accomunano Dante e Shakespeare? Spiritualità, predilezione per
la forma teatrale, capacità di parlare all'uomo? "Tutte queste
cose! Di Shakespeare colpisce il senso religioso, che non è
dottrina, ma lezione morale, ammonimento, insegnamento. Allo
stesso modo, Dante è uomo di teatro: la Commedia, ma è una
scoperta dell'italianista Paolo De Ventura non nostra, nasce dal
teatro popolare del Medioevo". Forse un lettore esperto può
cogliere meglio un testo così complesso. "Ci rivolgiamo a tutte
le persone comuni. I nostri libri hanno sempre avuto più livelli
di lettura. La vicenda umana di Dante è di per sé commovente:
orfano in tenera età, con una malattia che lo rende socialmente
indesiderabile, ma allo stesso tempo straordinariamente
visionario. Non si svende mai al mainstream: in poesia è
controcorrente, in politica è così idealista che si mette
perfino contro il suo partito, in famiglia è la pecora nera che
consuma il patrimonio per poter scrivere. Dante non è un
raccomandato né un furbo, e neppure uno che ama l'aurea
mediocrità. È come tantissimi italiani che se la cavano da soli.
A parte ovviamente il suo genio, che è senza uguali". Che tipo
di lavoro avete fatto sul linguaggio? Vi siete posti il problema
della traduzione se il libro verrà pubblicato in altri Paesi?
"Avevamo una mission impossible: amalgamare la meravigliosa
libertà espressiva di Shakespeare con i versi densissimi,
spigolosi, scultorei di Dante. Quando Dante parla d'amore, lo
deve fare con le parole non solo di Paolo e Francesca, ma anche
di Giulietta e Romeo. Quando parla di guerra, di Enrico V.
Quando degli spiriti e dell'Aldilà, con Macbeth e Amleto. È
stato un lavoro immenso, perché per ogni occasione abbiamo
dovuto trovare la quintessenza del pensiero shakespeariano e di
quello dantesco. La traduzione per noi non è una novità. Viviamo
in Austria e, dei nostri 11 libri, 8 sono stati pubblicati prima
in traduzione che in italiano. In ogni pagina sentiamo anche il
suono delle altre lingue".
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