COSTANZA MARGIOTTA, "CITTADINANZA EUROPEA. ISTRUZIONI PER L'USO'' (Editori Laterza, pp. 183, 13 euro). Parlare d'Europa oggi è quanto mai attuale.
Nell'instabilità economica e sociale che ha investito negli ultimi anni il vecchio continente, e a meno di un mese ormai dalle elezioni di maggio, vale la pena chiedersi quanto il cittadino comune si senta parte di un'Europa che dovrebbe configurarsi come una seconda patria, o quanto conosca i propri diritti in relazione a essa. A queste e altre domande cerca di rispondere Costanza Margiotta, autrice del libro, edito da Laterza, "Cittadinanza europea. Istruzioni per l'uso", un piccolo ma molto accurato manuale, utile in primis per chiarire le differenze tra cittadinanza, nazionalità, popolo e stato, concetti sui quali spesso si fa confusione. Ma il libro serve soprattutto a gettare una luce sui diritti di cui tutti noi, in quanto europei, possiamo godere. Attraverso 5 capitoli, l'autrice delinea per il cittadino una sorta di mappa giuridica, la cui validità è di facile comprensione, dal momento che, nonostante la cittadinanza europea abbia compiuto ormai 20 anni, nessuno ha ancora capito in realtà come usarla.
Dalla nascita della cittadinanza con il Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993, all'evoluzione della stessa sancita dal Trattato di Lisbona nel 2009 (che definisce "duale" la cittadinanza europea, aggiungendola di fatto a quella nazionale) si è fatta molta strada verso l'ampliamento dei diritti del cittadino: siamo tutti liberi di circolare in ogni paese dell'unione, di non essere discriminati e di essere trattati come gli "autoctoni". Ma oggi questo sembra essere vero solo in parte, perché, come afferma Margiotta riportando nel libro anche alcuni celebri casi giurisprudenziali, "i paesi più ricchi chiedono di rivedere le norme che regolano la cittadinanza europea in senso restrittivo". Il nocciolo del problema sta tutto nel welfare, perché alcuni stati membri vogliono scongiurare il cosiddetto "turismo sociale", ossia una migrazione di persone a caccia di maggiori tutele e benefit disponibili presso le nazioni più ricche. "I nuovi immigrati, che sono cittadini europei - afferma ancora l'autrice -, sono visti come un pericolo, come un peso indebito sullo stato sociale. Il Belgio nel 2013 ha già espulso più di 2000 cittadini europei". Una questione che coinvolge principalmente coloro che più soffrono la disoccupazione, i giovani, protagonisti della cosiddetta "migrazione intraeuropea": "i ragazzi emigrano nei paesi dell'Europa anche per approfittare delle opportunità fornite dalla cittadinanza europea", specifica Margiotta. In quest'ottica è naturale ritenere che forse il modello di individuo - maschio, bianco, con un lavoro a tempo indeterminato - su cui è stata pensata la cittadinanza europea è del tutto desueto, se si pensa all'attuale molteplicità di figure sociali, dettate dalla precarizzazione non solo del lavoro ma anche dell'istituto familiare. Mobilità, flessibilità, nuovi stili di vita e carenza di stabilità sono fattori di cui la Comunità Europea deve necessariamente prendere atto nella questione dei diritti. Per evitare però che si torni indietro verso una definizione solo economica del cittadino è necessaria secondo Margiotta una presa di coscienza dal basso. Ognuno di noi "deve" sentirsi europeo e prendere possesso di una cittadinanza che non può essere data per scontata, ma che si rivela uno strumento da maneggiare consapevolmente affinché non ci siano cittadini europei di serie A e serie B.
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