Piace al pubblico della Scala
l'Evgenij Onegin di Cajkovskji nella direzione volutamente lenta
del maestro Timur Zangiev, e soprattutto piacciono le voci del
cast con perplessità invece sulla regia di Mario Martone che ha
trasposto, grazie alle scene di Margherita Palli e i costumi di
Ursula Patzak, la vicenda dall'Ottocento imperiale in una Russia
contemporanea, rispettando comunque fedelmente la vicenda.
Opera poco eseguita a Milano, portata per la prima volta
esattamente nel 1900 da Arturo Toscanini 21 anni dopo la prima
moscovita, Onegin - che si basa sul romanzo in versi di Puskin
- racconta dell'amore della giovane Tatjana (l'affascinante Aida
Garifullina), che trova nei libri la via di fuga dalla campagna,
per Evgenij Onegin (Alexey Markov) a cui scrive una appassionata
lettera d'amore, sottolineata dalle note struggenti di
Cajkovskij, che la respinge con freddezza. Quando per sfizio
Onegin balla con Olga (Elmina Hasan), Lenskij (applauditissimo
Dmitry Korkchar) si ingelosisce e sfida l'ormai ex amico a
duello. Un duello che in questa versione diventa una sfida alla
roulette russa in cui Lenskij perde.
Un duello insensato, che a Martone ha fatto pensare alla
attuale divisione fra "due popoli fratelli, due culture" quella
russa ed europea.
D'altronde questo Onegin del conflitto è stato vittima. Dopo
Covanscina - meraviglioso spettacolo andato in scena alla Scala
nel 2019 - Martone e Valery Gergiev avevano pensato di
intraprendere insieme il lavoro anche per questa nuova opera
russa, ma poi il conflitto ha congelato e cambiato tutto.
Quanto succede sul palcoscenico segna la fine dei sogni di
Tatjana, i libri che tiene nella sua camera (unico spazio di un
interno in palcoscenico mentre il resto sono i campi di grano
assolati dell'estate e il grigio inverno con alle spalle un
cielo che cambia segnando lo scorrere del tempo) prendono fuoco,
il cubo che è la sua casa crolla.
Passano cinque anni, Onegin tornato dall'estero ad un ballo
vede Tatjana, ed è folgorato. Chiede al principe Gremin (Dmitri
Ulyanov) chi sia quella donna e lui spiega che si tratta di sua
moglie. Non del tutto riuscita (e direttamente contestata con
qualche bu dal pubblico) la scelta di utilizzare un tendaggio
rosso trasparente come sipario, in un gioco di ombre non
pienamente riuscito, a dividere fra la scena danzante e le
'confessioni' dei protagonisti in proscenio. Alla fine il
confronto fra Evgenij e Tatjana, lui la vuole, lei confessa di
amarlo ma aggiunge di essere legata per l'eternità al marito, ed
il buio la inghiotte.
Applausi a scena aperta a più riprese agli interpreti (da
menzionare Alina Kolosova come vedova Larina, Julia Gertseva la
nianja, Yaroslav Abaimov nei panni di Triquet e Oleg
Budarantskiy Zareckij), al coro diretto da Alberto Malazzi e
qualche sentito buu alla decima regia di Martone alla Scala.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA