Un "ragazzo meridionale di periferia" che da giovane ha imparato a obbedire e oggi cerca di dare ordini di buonsenso, sperando anche di sfatare qualche stereotipo sugli alpini, perché "non si giudica la gente dal saio". Anzi, dalla penna su un cappello. Così si racconta in un libro il generale potentino Francesco Figliuolo, comandante logistico dell'esercito che oggi guida il Comando operativo di vertice interforze ed è Commissario straordinario per l'emergenza Covid-19 da un anno. Nel libro - edito da Rizzoli - scritto a quattro mani con Beppe Severgnini, l'alpino Figliuolo ripercorre la sua carriera, dalla nascita della passione per la logistica ("la trovo romantica") passando per le missioni in Kosovo (in questi territori sono molto emotivi, ma "sono un ragazzo di strada del Sud: sapevo come convincerli") all'Afghanistan, fino a quando nel 2020 venne chiamato ad avviare le operazioni logistiche per contrastare l'emergenza Covid: "non me l'aspettavo, e non l'ho cercata in alcun modo. Ho avuto un paio di giorni di mal di testa" e "all'inizio mi sembrava di essere su una barca piena di buchi e di non avere abbastanza tappi per chiudere tutti i fori". Di questa drammatica stagione del Paese, che si spera al tramonto, il generale racconta il dietro le quinte in vista della scadenza del suo mandato il prossimo 31 marzo. E già guarda oltre mentre stuzzicato da Severgnini risponde ad una proposta: una 'riforma Figliuolo' da proporre a Draghi per rendere il servizio civile obbligatorio? "Chissà, magari lo faccio davvero".
"Per cominciare l'alpino ha un cappello buffo - spiega il generale accorciando le distanze innanzitutto con il lettore - .
Adesso guai a chi me lo tocca, il cappello con la penna, ma all'inizio pensavo: 'Cos'è?'. Poi ho capito che questo cappello ha una storia. Chi lo porta è una persona seria". Un militare appassionato che non fa mistero dei propri difetti: "sono impulsivo, ma non porto rancore".
E si butta a capofitto nell'intenso viaggio a ritroso su questi due anni di pandemia. Fin da quando nel 2020 fu alle prese con l'organizzazione del trasporto, l'assistenza sanitaria e l'accoglienza dei cittadini italiani di rientro da Wuhan, in Cina. Poi l'intervento dei medici militari nel bergamasco e infine, il primo marzo 2021 con il Governo Draghi, la nomina a Commissario per l'Emergenza Covid: "sono salito su un treno in corsa, e non era un Frecciarossa", dice sottolineando anche la differenza tra il suo approccio e quello di Domenico Arcuri, il suo predecessore: "il mio è stato più dinamico, che viene fuori da esperienze di tipo diverso. La struttura precedente era basata su Invitalia, una grande stazione appaltante". Sul sistema delle 'primule' ho bloccato subito il bando e "ho fatto sapere che cercavo siti per organizzare le attività vaccinali.
La risposta è stata incredibile". Non è stato tutto facile: a fine giugno dello scorso anno "ricordo una infuocata riunione con la Commissione Salute della Conferenza delle Regioni. Non riuscivo a convincerli, né a rassicurarli. Qualche presidente mi disse che la campagna stava per fallire. Devo confessare che anch'io qualche dubbio l'ho avuto". Poi la svolta a luglio, per quello che lui stesso definisce "un mezzo miracolo". "Abbiamo fatto una manovra logistica eccezionale, grazie al concetto della riserva, tipicamente militare. Con tredici milioni e mezzo di dosi nominali, siamo riusciti a fare più di cinquecentomila vaccinazioni al giorno".
A parte alcuni casi (da De Luca "ho sentito spesso dei monologhi, sarebbe stato bello confrontarsi nel merito delle questioni"), anche il bilancio sul rapporto con i governatori è positivo: "ho attagliato il piano generale ai modelli e alle necessità di ciascuna Regione. Ho girato l'Italia come una trottola". E adesso il generale si dice "prontissimo, da tempo" a passare la mano, perché "finisce l'emergenza, si spegne l'interruttore marcato 'Commissario Figliuolo' e si passa alla gestione ordinaria. Magari qualche ministero sarà un po' preoccupato, ma ce la faremo...".
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