"Come si può sopravvivere senza lottare?" A chiederselo, parlando con l'ANSA, è il regista Sergio Scavio. Dal 22 maggio è in arrivo nelle sale italiane il suo primo lungometraggio, 'La guerra di Cesare', una favola sociale che racconta di come la ribellione sia diventata l'eccezione, la provincia viva situazioni lavorative talora paradossali e anche nei luoghi dove c'è ancora un senso di comunità lo smarrimento sia evidente.
La vicenda è quella di Cesare, cinquantenne interpretato da Fabrizio Ferracane, che con questa parte si è aggiudicato il premio come Miglior attore protagonista al Bari International Film Festival. Da 26 anni lavora in una miniera del Sud Sardegna ormai improduttiva a cui sono interessati investitori cinesi. Invece di fare il minatore, è stato ricollocato come guardia giurata del giacimento insieme all'amico Mauro (Alessandro Gazale). Al suo carattere rassegnato e inerme si contrappone quello infuocato del collega che, nella frenesia della protesta contro il 'padrone', muore. Da qui parte un viaggio che porterà Cesare a cambiare, accompagnato da personaggi tragicomici quanto lui, tra cui Francesco (Luciano Curreli), fratello problematico di Mauro che venera Cossiga. Con qualche sfortuna e un pizzico di rivalsa, la storia non dà soluzioni ma pone interrogativi sul modo in cui oggi pensiamo alla vita e al rapporto con il potere. "In Sardegna - spiega Scavio - per tanto tempo alcuni operai inquadrati come minatori erano impiegati in altri lavori". Anche inutili, come "il presidio del nulla" di Cesare e Mauro.
"Il lavoro dovrebbe portare a un miglioramento dell'essere umano - prosegue il regista - ma troppo spesso è legato alla schiavitù di non avere il reddito. I giovani sono più abituati a pensarlo slegato dal salario. Credo questa debba essere l'ambizione di tutti, anche dell'operaio". La realtà resta però diversa. Il rimando alle miniere sarde non è un caso: il 4 settembre 1904 a Buggerru vi fu un episodio di repressione del dissenso annoverato tra le ragioni che portarono al primo sciopero generale italiano. "È un territorio dove le lotte furono forti - racconta Scavio - ma il Novecento è stato il secolo più veloce della storia dell'uomo. Ci sono state delle evoluzioni incomprensibili. I protagonisti del film, ancorati alla vecchia società, prendono brandelli di ciò che è rimasto". Cesare è un nome ricorrente nella produzione di Scavio ("dovrei fare i conti con il mio inconscio", scherza), che nel 2018 firmò il suo primo corto, 'La notte di Cesare'. Il suo protagonista era un uomo (Cesare Manca) "che avevo conosciuto ed era diventato mio amico - ricorda - rappresentava una grande dualità: un fisico piccolino, debole, quasi cieco, ma una forza impressionante, una vita costellata da battaglie politiche per gli immigrati, per la casa". Una persona diversa dal Cesare del film, così rassegnato, ma che dopo la morte di Mauro "riesce a trovare un atto di rabbia, l'elemento che manca di più oggi. Spero ne distribuisca un po' in giro", riflette Scavio. In un contesto sociale in cui chi si arrabbia trova tanto odio, come sui social, diventa difficile ribellarsi. "Nella rabbia sei solo - continua -, non è più condivisa ed è una grande fatica. La rabbia non è distruggere le cose ma trovare la forza per lottare insieme in forma più determinata". Il film, comunque, non dà soluzioni. La risposta di Scavio oggi come oggi "è la tensione verso le cose, non tanto la realizzazione. Non c'è più il contesto politico e sociale attraverso cui costruire un sistema comunitario. Ma penso che in futuro ricostruiremo le condizioni necessarie".
'La guerra di Cesare', scritto da Sergio Scavio e Pier Paolo Piciarelli, è una produzione Ombre Rosse e WellSee, in associazione con Metaphyx in collaborazione con Rai Cinema e sarà distribuito da Ra Productions e Mirari Vos.
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