La trattativa Stato-mafia fa litigare, nella giornata in cui si riflette sulla "eredità" di Giovanni Falcone, la scrittrice francese Marcelle Padovani e il pm Vittorio Teresi. "Userò parole chiare e senza sfumature" aveva promesso Padovani alla platea di magistrati che, nell'aula magna del palazzo di giustizia, erano venuti per ascoltare la sua testimonianza sull'amicizia con Falcone ma soprattutto sulla "collaborazione", come lei preferisce chiamarla, dalla quale è nato nel 1991 il libro "Cose di Cosa nostra". Quel testo ancora oggi viene considerato il testamento del magistrato perché riassume il suo punto di vista sull'evoluzione della mafia, sui suoi nuovi interessi e sugli strumenti più utili a contrastarla.
Marcelle Padovani ha fatto quello che tutti si aspettavano. Ha parlato dei primi contatti con Falcone, cercati attraverso Luciano Violante, e dell'idea originaria di un'intervista giornalistica che doveva prima essere rilasciata durante un volo e poi si risolse in un colloquio di due ore nel piano interrato di una caserma della Guardia di finanza. Solo dopo, per sollecitazione di un editore francese, diventò un libro. E alla fine, rivedendo il risultato di tanti colloqui, Falcone era perfino soddisfatto: "Abbiamo fatto un bel lavoro".
Ci sono in quel libro tracce della "eredità" del magistrato? L'idea di Padovani è che, effettivamente, i risultati dell'impegno di Falcone si vedono chiaramente. Oggi si rallegrerebbe di una magistratura che costituisce la "colonna vertebrale" della lotta alla mafia e che ha difeso la democrazia. E poi vedrebbe con soddisfazione realizzate le sue idee su un nuovo efficace coordinamento tra le forze di polizia, una grande capacità di intervento e una legislazione antimafia che l'Europa ammira. Ma il "protagonismo" di alcuni giudici non convincerebbe Falcone. Padovani non lesina critiche alla "autorappresentazione" di alcuni giudici che si avvicinano alla politica, praticano una "mediatizzazione eccessiva" e seguono "teorie di complotti, retroscena e trame che probabilmente esistono solo sulla carta". Per questo, secondo la scrittrice, oggi la posizione di Falcone sul processo sulla trattativa sarebbe "più vicina al pensiero del giurista Giovanni Fiandaca", autore con lo storico Salvatore Lupo del libro "La mafia non ha vinto" che tante polemiche e ha suscitato. L'eco delle divisioni laceranti torna nella replica del magistrato che coordina il lavoro dei pm di quel processo, Vittorio Teresi, il quale liquida senza remore le critiche della scrittrice. Lascia l'aula con il volto teso e dice: "Non ha il diritto di tranciare questi giudizi. Avrebbe dovuto leggere gli atti del processo e non solo il libro di Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo. E' grave che esprima le sue valutazioni mentre c'è un dibattimento in corso. Finisce così per presentare come l'unica verità alternativa quel libro che peraltro utilizza degli atti processuali solo una quindicina di pagine". Davanti a Teresi il suo capo, il procuratore Francesco Messineo, allunga il passo. E risponde ai cronisti con un silenzio glaciale.
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