(di Roberto Buonavoglia) Sono lontani i tempi in cui Patrizia D'Addario arrivava in motoscafo, come una diva, al Festival del cinema di Venezia.
Era sorridente, capelli biondi al vento, tubino nero e tacchi vertiginosi.
Prometteva che avrebbe scritto
un libro sulla notte che Silvio Berlusconi preferì passare a
letto con lei, nel 2008, piuttosto che partecipare ad un party
nell'ambasciata Usa per l'elezione di Barack Obama. Aveva stuoli
di fotografi e di cronisti che l'assediavano, che volevano
conoscere particolari piccanti sulle sue avventure con l'allora
premier.
Sembrano passati tanti anni dal vedere oggi la parabola della
escort più famosa d'Italia, di colei che aveva fatto esplodere
lo scandalo sulle feste hot nelle residenze del leader di Forza
Italia, e che oggi ha tentato il suicidio ingerendo farmaci
davanti al tribunale di Bari. Patrizia D'Addario dice di aver
perso tutto e di essere rimasta da sola, senza neppure il
lavoro. Anche il suo libro 'Gradisca Presidente', annunciato
come un bestseller, è stato subito ritirato dal mercato perché
non erano stati apposti i bollini Siae.
"Sono l'unica che non ha avuto nulla", ha detto ai cronisti
durante ogni udienza del processo a Gianpaolo Tarantini e a
Sabina Began, l'ape regina dei party berlusconiani, condannati
oggi a 7 anni e 10 mesi e a 16 mesi di reclusione. Ogni volta
che nel dibattimento emergeva che Barbara Guerra aveva ricevuto
in dono dal Cav una villa da un milione di euro a Bernareggio
(Monza) e un appartamento nel centro di Milano, lei faceva
spallucce. E quando si parlava della sfarzosa casa milanese da
1,5 milioni regalata da Berlusconi a Sabina Began rimaneva
impietrita. Diceva di volere giustizia.
Per questo si era costituita parte civile nel processo a
carico di Tarantini, Began e di altre cinque persone e aveva
chiesto un milione di euro di danni. Il Tribunale oggi glielo ha
negato ritenendo che lei, così come le altre ragazze che erano
parte civile, si è prostituita volontariamente con Berlusconi e,
quindi, il danno è inesistente.
"Ora non mi resta che il suicidio", ha detto la donna
abbandonando l'aula dopo la sentenza. Prima si è sfogata in
lacrime davanti alle telecamere, poi ha ingoiato, davanti al
tribunale, 40 compresse di Eutirox, un farmaco per la tiroide.
Dopo pochi minuti è svenuta. Il suo avvocato, Fabio Campese,
ha chiamato un'ambulanza che ha portato la donna in codice rosso
al Policlinico. La lavanda gastrica e due giorni di ricovero
dovrebbero rimetterla in sesto. Al resto penserà la sua
psicologa di fiducia. Nella mani del legale è rimasta la lettera
scritta di getto dalla donna prima di crollare al suolo. Una
lunga missiva in stampatello in cui dice al penalista: "Fai
giustizia e aiuta la mia famiglia".
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