"Abbiamo adottato misure severissime, ma siamo riusciti a non separare mai la madre dal bambino.
Siamo riusciti a fare entrare sempre i genitori in Terapia Intensiva neonatale, anche quando in Italia si era optato per il blocco.
Abbiamo giocato su un inghippo semantico:
il genitore non è un visitatore". Alessandra Coscia,
responsabile della Terapia Intensiva della Neonatologia
universitaria dell'Ospedale Sant'Anna di Torino, diretta dal
professore Enrico Bertino, racconta i difficili giorni
dell'emergenza Covid. L'occasione è la Giornata Mondiale della
Prematurità, che si celebra il 17 novembre.
"Poteva essere un rischio, ma grazie alla prevenzione - usare
la mascherina, lavarsi le mani e pulire bene il seno - non ci
sono stati problemi. Siamo riusciti anche a permettere la
presenza del partner in sala parto", spiega la dottoressa
Coscia. "Abbiamo adottato politiche di compromesso ragionato.
All'inizio - prosegue Coscia - è stata una bella botta, abbiamo
avuto bisogno di indicazioni ufficiali. Il neonato non è a
rischio Covid, il problema era l'isolamento della mamma. Abbiamo
organizzato i turni e gli orari, ridotto le ferie. Abbiamo
dovuto cambiare i percorsi organizzativi, prevedere percorsi
particolari per la madri positive: nella prima fase del lockdown
sono state poche, nella seconda ondata molte di più. I neonati
che hanno sviluppato la malattia in modo importante sono stati
molto rari, la trasmissione per via ematica è rarissima". Il
Green Pass? "E' raro che le donne che partoriscono non cel lo
abbiano, quando succede facciamo il tampone". In Italia nascono
ogni anno circa cento neonati gravemente pretermine, cioè con un
peso sotto i 1.500 grammi, in Piemonte l'1% (350-400). L'indice
di sopravvivenza è altissimo, raggiunge infatti il 90%.
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