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In collaborazione con Università Statale Informa - Università degli Studi di Milano
Era il 18 aprile 2015 quando un
barcone senza catene e ancore è naufragato nello stretto di
Sicilia, mille i morti nella più grande strage conosciuta
avvenuta nel Mediterraneo. A dieci anni di distanza l'università
Statale di Milano ha organizzato il convegno 'Un nome, non un
numero' che ricorda l'enorme lavoro fatto per recuperare il
relitto e i morti e per dare loro un nome.
Cuore di questa operazione Melilli mai fatta prima né dopo -
che ha coinvolto 13 università, vigili del fuoco, marina
militare, protezione civile, croce rossa, enti, politica e
realtà come Fondazione Cariplo - è stata Cristina Cattaneo,
docente di Medicina legale, responsabile del Labanof, il
laboratorio di antropologia e odontologia forense della Statale,
che è stata essenziale in casi come quello di Yara Gambirasio.
"Questa azione - ha detto Cattaneo - deve diventate una
prassi. Non può restare volontariato". Ma soprattutto deve
diventare un obbligo per i Paesi dare un nome ai morti. "Nelle
scorse settimane al Consiglio europeo di Strasburgo si è
discusso dell'obbligo degli Stati a rendere obbligatorio il
lavoro per restituire una identità" come normalmente avviene, ad
esempio, per chi muore nei disastri aerei.
"A livello italiano - ha aggiunto - cercheremo di creare un
filone parallelo per una migliore cura dei deceduti senza
identità e dei loro familiari".
"In un momento di fragilità democratica - ha sottolineato la
rettrice Marina Brambilla - Melilli è un presidio di civiltà e
ricorda la responsabilità che gli Stati europei, e anche le
università, hanno nel presidio della democrazia e del diritto".
In collaborazione con Università Statale Informa - Università degli Studi di Milano
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