C'è qualcosa di estremamente
attuale, soprattutto grazie alla regia di Alex Ollé della Fura
des Baus, nell'Amore dei tre re di Italo Montemezzi, che la
Scala di Milano ha riportato in scena a settant'anni esatti
dall'ultima rappresentazione. Ed è quell'inclinazione all'amore
che diventa possesso, la gelosia cieca che porta ad uccidere che
si traduce nel femminicidio.
Nel 1913, quando andò in scena per la prima volta in
assoluto, proprio alla Scala di Milano, il termine nemmeno
esisteva ma il fenomeno sì. "Quest'anno in Spagna sono state
uccise più di ottanta donne e in Italia settanta: non è cambiato
tanto dal medioevo e l'opera porta questa riflessione" ha
osservato Ollé, che ha scelto una scenografia (firmata da Alfons
Flores) con centinaia di catene - per un totale di 10 chilometri
- che scendono dall'alto, una scala grigia che si solleva dal
pavimento (sostenuta dalle stesse catene) e poco altro. Nessun
rimando al medioevo nemmeno nei costumi firmati da Lluc
Castells.
Il risultato appunto è stato di attualizzare un'opera molto
legata al tempo in cui è stata composta, alla fine della
stagione verista, con rimandi a Wagner e Debussy, un "miscuglio
di musiche diverse" per ammissione del maestro Pinchas Steinberg
che l'ha diretta per la quinta volta e ha trasmesso anche al
pubblico la sua fascinazione per L'amore dei tre re, tanto che
alla fine è stato il più applaudito.
Applauditi anche gli interpreti: il soprano Chiara Isotton
nella parte di Flora, Evgeny Stavinsky, il vecchio e cieco
Archibaldo che non potendo averla la dà in moglie al figlio
Manfredo, Roman Burdenko nella parte di Manfredo e Giorgio
Berrugi in quella dell'amante Avito.
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