Tutti quelli che hanno avuto a che
fare con il progetto di retrofitting, il lavoro di rinforzo
delle pile 9 e 10 del ponte Morandi, hanno "la responsabilità
sulla sicurezza dell'opera e di chi la usa anche allo stato
attuale, cioè precedentemente alla realizzazione dei lavori, al
fine di prevenire disastri". E' quanto scrivono i pubblici
ministeri Marco Airoldi, Walter Cotugno e Massimo Terrile, nella
memoria di 50 pagine depositata nei giorni scorsi al processo
per il crollo (14 agosto 2018, 43 vittime). Si aggravano così le
posizioni dei progettisti, dei responsabili del progetto stesso
di Aspi, ma anche i funzionari della Divisione 4 del Mit e del
Comitato tecnico amministrativo del Provveditorato.
Nella memoria i pm fanno riferimento a una serie di norme:
dal testo unico edilizio del 2001, alle norme tecniche sulle
costruzioni, passando dalle disposizioni interne ad Aspi. La
sicurezza, è il ragionamento dell'accusa, è "inscidibilmente
collegata alla progettazione stessa e ne costituisce un
presupposto rilevante". I progettisti del retrofitting avrebbero
dovuto "assicurare la perfetta stabilità e sicurezza ed evitare
qualsiasi pericolo per la pubblica incolumità e coloro che
dovevano effettuare i vari controlli tecnici sul progetto,
dovevano gestire la medesima area di rischio".
Nella memoria c'è poi un paragrafo dedicato a ciò che si
sarebbe potuto fare per evitare la tragedia: "riduzione dell'uso
della struttura e/o della realizzazione di lavori finalizzati
all'aumento delle capacità statiche della struttura". In pratica
si sarebbe dovuto chiudere il ponte o limitare il passaggio.
Cosa che invece non venne mai fatta.
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