"Quel giorno Alfredo aveva visto il
bimbo appena nato. Era venuto in ospedale sia a pranzo che alla
sera, poi mi ha detto che sarebbe andato a bere qualche birra
con un amico". A dirlo, tra le lacrime, è stata Patricia Zena,
la compagna di Javier Alfredo Miranda Romero, l'uomo ucciso con
una freccia dal maestro d'ascia Evaristo Scalco la notte tra l'1
e il 2 novembre nel centro storico di Genova. La donna è stata
sentita come testimone nel processo in corte d'assise.
Nel corso dell'udienza sono stati sentiti anche i medici
dell'ospedale San Martino che hanno provato a salvare l'operaio
e il medico legale Sara Lo Pinto. I medici hanno confermato che
la freccia ha oltrepassato in modo netto il fegato della
vittima. "Non c'è stato movimento in andata né in ritorno - ha
spiegato Lo Pinto - e la caduta dell'uomo, così come
l'intervento esterno non ha inciso sulla lesione che era unica e
netta". Scalco, dopo aver ferito Romero, era sceso in strada e
aveva provato a estrarre la freccia. In ospedale gli sono state
fatte 40 sacche di trasfusione "che corrispondono a 40
donatori", ha sottolineato il medico legale. Quella sera Romero
stava festeggiando la nascita del secondo figlio, nato il giorno
prima dalla nuova compagna. Tra le testimonianze anche quella
della figlia più grande, Alessia, che oggi ha 19 anni. "Mio
padre mi sosteneva in tutto", ha detto. Alla fine dell'udienza
l'avvocato Jacopo Pensa, che difende Scalco, ha spiegato che "il
suo assistito dedicherà la vita per cercare di rimediare per
quanto possibile a questa tragica vicenda".
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