Esito negativo dall'esame del Dna
disposto dopo la riapertura delle indagini sull'omicidio di
Maria Luigia Borrelli, la donna di 42 anni, infermiera di giorno
e prostituta di notte, uccisa in vico Indoratori il 5 settembre
1995, a Genova. La comparazione dei reperti con quelli del nuovo
sospettato, un medico ormai morto, ha stabilito che non ci
sarebbe compatibilità. E però le indagini vanno avanti. Il
pubblico ministero Patrizia Petruzziello, che coordina la
squadra mobile genovese, ha inviato l'arma del delitto, il
trapano, al gabinetto della polizia scientifica di Roma. Gli
esperti hanno poi estrapolato altro Dna, dai reperti che erano
già stati presi all'epoca, con più marcatori, quindi più
completo. Gli investigatori hanno anche incaricato la
professoressa Isabella Merzagora di eseguire l'autopsia
psicologica: si tratta di una profilazione della vittima
attraverso una raccolta di testimonianze della sua storia
clinica, relazionale e affettiva, in modo tale da eventualmente
indirizzare le indagini in un determinato "ambiente".
Le indagini erano state riaperte un anno fa dopo il racconto
di una supertestimone a cui la madre, anche lei infermiera e
collega di Borrelli, aveva fatto delle confidenza: avrebbe detto
che la sua collega aveva una relazione con un primario
dell'ospedale in cui lavoravano e che la vittima, nelle mani
degli usurai per i debiti lasciati dal marito, lo ricattava. Era
però anche emerso che la Borrelli era a sua volta una strozzina
e quindi potrebbe essere stata vittima di un suo cliente. La
donna era stata picchiata, poi colpita con uno sgabello e infine
massacrata in più punti con un trapano. Si era difesa e aveva
graffiato il suo aggressore tanto che sotto le unghie erano
state trovate tracce di pelle da cui era stato estrapolato il
Dna.
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