Uno spettacolo curatissimo, fatto di
musica, canto, parole e corpi in movimento su un palcoscenico
nudo, tranne sul fondo un riquadro bianco a richiamare uno
schermo su cui non verrà proiettato però nulla, insomma teatro
purissimo e poetico, senza concessioni a mode e effetti, e
studiato come sempre, quello di Giancarlo Sepe, che con questo
applauditissimo ''Bazin'' apre le celebrazioni per i 50 anni del
suo teatro, La Comunità, dove si replica sino al 12 giugno,
grazie alla coproduzione col Teatro Diana di Napoli e il Teatro
della Toscana, che lo ospiteranno a inizio della prossima
stagione.
André Bazin è stato il creatore dei ''Cahiers du cinema'' e
ha sostenuto giovani critici rendendoli poi registi, creando la
nouvelle vague francese e morendo a nel 1958 a 40 anni, mentre
il suo allievo prediletto, Truffaut, stava iniziando a girare
''I 400 colpi'' che lui non avrebbe mai visto. Cattolico e
comunista, aveva una particolare fede nel cinema documentario,
di testimonianza, ma da intellettuale poi si chiedeva sempre:
''Siamo sicuri che quel che vediamo sia la realtà?''. E' la
domanda centrale dello spettacolo su questo personaggio dal
carattere spigoloso e molto poco amato di cui viene messa in
scena in modo visionario, aspro e poetico, la notte della sua
morte, in cui si rivive, più che ripercorrere, il suo totale
amore per il cinema.
Gli interpreti, coinvolti da Sepe in un artaudiano teatro
della crudeltà, ovvero del sogno, della visione assolutamente
necessaria e determinata, controllata in ogni particolare per
sfuggire al disordine del sogno spontaneo, sono tutti quindi
doverosamente e meritatamente da citare: da Margherita Di Rauso
che è la moglie di Bazin, a Giuseppe Arezzi il nazista, Marco
Celli il pilota, Davide Gallarello Balala, Claudia Gambino
Christine, Francesca Paolucchi Lisette, Federica Stefanelli
Séverine, Guido Targelli Robert, con i curati costumi di Lucia
Mariani.
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