"Perdiamo un amico. Se siamo
ancora in vita è grazie a lui, che ci ha salvati". E' quanto
raccontano Sergio Gobulin e la moglie Ana Barzola al Messaggero
Veneto, ricordando Papa Francesco.
La coppia oggi risiede ad Arzene (Pordenone). Nella sua
autobiografia Spera il Pontefice dedica loro due pagine quando
racconta delle persecuzioni in Argentina. Il 17 gennaio 1977
l'allora superiore provinciale dei gesuiti Jorge Mario
Bergoglio, dopo averli messi al riparo in un ospedale, li fece
imbarcare su una nave diretta in Italia.
Gobulin, nato a San Michele al Tagliamento nel 1946 ed
emigrato in Argentina a 4 anni, era studente di teologia,
Bergoglio suo insegnante. Fu lui a celebrare nel 1975 il suo
matrimonio con Ana. L'anno dopo i militari requisirono la loro
abitazione. Nelle pagine di Spera il Papa racconta di quando
Sergio fu prelevato "mentre stava costruendo con le sue mani la
rete idrica". Bergoglio andò dove lo detenevano e due giorni
dopo venne liberato. Ma "non gli era stata messa la benda negli
occhi e aveva visto tutto e tutti": dopo averlo picchiato a
sangue i rapitori lo abbandonarono a un chilometro da casa.
"Riuscii a ottenere un permesso che consentiva a Sergio di
essere ricoverato in un ospedale italiano" con moglie e figlia.
"Poi chiamai subito il consolato, perché gli fosse riconosciuto
l'asilo politico".
Sergio, Ana e il Papa - ricostruisce il quotidiano - si sono
sentiti al telefono e visti a Santa Marta più volte. "Ci si
telefonava 3-4 volte l'anno, sempre il 24 giugno, giorno del mio
compleanno", spiega Sergio. A Natale "il suo segretario
fotografava i messaggi scritti a mano e ce li recapitava via
telefono. L'ultima comunicazione risale ai giorni del ricovero
al Gemelli. Non riusciva a parlare, "ma il suo segretario ci
fece sapere che il messaggio era stato recapitato e ci salutava.
Ci mancherà. Il mondo perde un uomo di pace, non solo dentro la
Chiesa".
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