(di Michele Esposito)
L'ultima chiamata di Mario
Draghi all'Europa ha luogo nel corso di un evento apparentemente
non di primo piano nell'agenda brussellese, l'European
Parliamentary Week, che riunisce esponenti dei parlamenti
nazionali da tutta Europa. Per il messaggio dell'ex presidente
della Bce, tuttavia, si trattava di una platea importante, in
quanto collante tra ciò che avviene nell'Ue e il consenso
politico nei singoli Paesi membri. Ed è a questa platea che
Draghi, illustrando il senso e gli obiettivi del suo Rapporto
sulla Competitività, ha lanciato un allarme che non lascia
spazio a equivoci: l'Europa è destinata a restare sola ed è per
questo che deve agire, subito, come fosse un unico Stato.
Ricorrendo, quindi, anche agli eurobond.
Alla frammentazione del mondo - economica, politica, perfino
geografica - per l'ex premier italiano la risposta dell'Europa
deve essere direzionata esclusivamente verso una maggiore
integrazione. A volte, ha spiegato Draghi, "l'Ue è il principale
nemico di se stessa". Oggi non può più esserlo. Il mondo
"confortevole" di qualche tempo fa è finito, le dichiarazioni
che arrivano oltreoceano portano a prevedere che l'Ue, presto
"dovrà garantire da sola la sicurezza dell'Ucraina e della
stessa Europa". Il tempo delle attese e dei veti è terminato.
"Non si può dire no a tutto, altrimenti bisogna ammettere che
non siamo in grado di mantenere i valori fondamentali dell'Ue.
Quindi quando mi chiedete 'cosa è meglio fare ora' dico che non
ne ho idea, ma fate qualcosa!", sono le parole, nettissime, con
cui Draghi ha accompagnato la sua relazione in sede di replica.
Parole che hanno ripercorso, di fatto, l'incipit dell'intervento
dell'ex presidente della Bce. "Dobbiamo abbattere le barriere
interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative
nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato
sull'equity. La risposta dell'Ue deve essere rapida, intensa, su
vasta scala", ha scandito Draghi prendendo la parola in Aula
all'Eurocamera.
Non è la prima volta, negli ultimi mesi, che l'uomo del
'whatever it takes' lancia il suo allarme. Ma questa volta il
contesto è cambiato. Donald Trump, con la sua rete di dazi
reciproci, attacchi politici all'Ue e imprevedibilità nella
gestione della guerra in Ucraina, rischia di mettere Bruxelles
di fronte ad un muro. "Per far fronte a questa sfide è sempre
più chiaro che dobbiamo agire come se fossimo un unico Stato. La
complessità della risposta politica che coinvolge la ricerca,
l'industria, il commercio e la finanza richiederà un grado di
coordinamento senza precedenti tra governi e parlamenti
nazionali, Commissione e Pe", ha sottolineato Draghi. Prima di
parlare di numeri. All'Ue servono, come stima prudenziale,
"750-800 miliardi l'anno di investimenti" da convogliare in
tecnologie, IA, difesa, rilancio dell'industria nel segno della
decabornizzazione. Si tratta di cifre enormi, per le quali è
"necessario emettere titoli di debito, "e questo debito comune
deve essere, per definizione, sovranazionale, perché alcuni
Paesi non dispongono di spazio fiscale sufficiente nemmeno per i
propri obiettivi, non hanno alcuno spazio fiscale", ha spiegato
Draghi.
Ed è qui che la sua visione differisce da quella della
Commissione e di Ursula von der Leyen. Nella Bussola della
Competitività non c'è traccia di debito comune, ma si prevede un
allargamento delle maglie per gli aiuti di Stato. E, sulla
difesa, von der Leyen ha annunciato che i 27 potranno ricorrere
alla clausola di salvaguardia. Scorporando le spese dal deficit
e dal debito sì, ma solo temporaneamente. La ricetta di Draghi è
più netta e, non a caso, prevede il superamento dell'unanimità -
a favore della maggioranza qualificata - nella gran parte delle
decisioni che i Paesi Ue sono chiamati a prendere. Il 26
febbraio la Commissione presenterà il Clean Industrial Deal.
Nella bozza del piano si parla della necessità di aumentare gli
investimenti annui di "480 miliardi", si punta sulla
semplificazione delle regole e su norme per gli aiuti di Stato
che favoriscano la competitività. Un passo avanti, certo, che,
tuttavia, difficilmente potrà bastare al raggiungimento degli
obiettivi del cronoprogramma di Draghi.
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