STRASBURGO - La Russia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani per non aver condotto un'inchiesta efficace sull'assassinio dell'oppositore politico Boris Nemtsov, ucciso a colpi di pistola sul ponte Bolshoy Moskvoretskiy, nelle immediate vicinanze del Cremlino, il 27 febbraio 2015. La Corte ha rilevato, in particolare, "che le autorità russe non hanno indagato adeguatamente su chi avesse organizzato e commissionato l'omicidio". Secondo i togati di Strasburgo le autorità russe "non hanno esplorato la possibilità che il movente dell'assassinio sia stato politico e che abbia coinvolto alcuni funzionari statali". A ricorrere alla Cedu è stata la figlia di Nemtsov, Zhanna Borisovna Nemtsova. Nella sentenza i giudici hanno stabilito che la Russia dovrà versarle un risarcimento di 20 mila euro per danni morali.
I giudici tirano in causa un possibile coinvolgimento delle autorità cecene nell'omicidio, affermando tra l'altro che "gli inquirenti stessi avevano ottenuto prove sostanziali che indicano il possibile coinvolgimento di alcuni ufficiali delle forze di sicurezza interne della Repubblica cecena negli eventi". "Le autorità russe avevano l'obbligo di seguire questa linea d'indagine", afferma la Cedu. Invece hanno "interrotto l'indagine sul presunto coinvolgimento di alcuni individui, e un certo numero di persone che avrebbero potuto fornire informazioni di importanza cruciale per il caso non sono mai state interrogate". In conclusione la Cedu sostiene che "sorprendentemente l'indagine ha fallito nell'approfondire il movente politico dell'assassinio, e nel darne un'altra spiegazione plausibile", non riuscendo quindi "a stabilire le ragioni dei sicari e il motivo per cui gli era stata offerta una ricompensa".
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