La crisi dei chip persistente, l'aumento esponenziale dei costi dell'energia, la capacità di spesa delle famiglie sempre più modesta e una ripresa assai lenta preoccupano il mondo dell'auto, che vede nel proprio futuro il tramonto dei motori a combustione a favore dell'auto elettrica. Se ne è parlato a Milano nel corso del Forum Automotive, tradizionale appuntamento promosso da Pierluigi Bonora, durante una due giorni di confronto con l'intera filiera e un intervento del neoministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto.
A tracciare il profilo dell'attuale contingenza i dati di un approfondito studio di Alix Partners, che ricorda come le materie prime siano rincarate del 125% e come questo incremento pesi molto più sulle tasche dei costruttori occidentali: per ogni vettura prodotta in Usa il costo-componenti è di circa 8mila euro, contro i tremila necessari in Cina. E dopo il boom dei mesi scorsi, i costi dei materiali per le auto elettriche sono scesi meno di quelli per i motori tradizionali. Risultato: ad oggi, secondo lo studio, un'auto elettrica costa il 70% in più rispetto all'omologa termica. Se questo quadro viene poi incorniciato in una contingenza di crescita economica limitatissima, c'è davvero di che essere preoccupati. A pesare è non soltanto la 'tagliola' del 2035, quando l'Ue ha deciso per lo stop alla produzione di motori termici, ma anche l'ingresso della normativa Euro 7: assai restrittiva in termini di emissioni e costosa dal punto di visto produttivo, vede davanti un periodo di vita davvero troppo limitato per consentire il rientro dei costi di ricerca e produzione.
La crisi dei chip, fra l'altro, praticamente congela il mercato: si vendono tante auto quante ne vengono prodotte, le liste di attesa si stanno allungando oltre ogni previsione - fino a 18 mesi per alcuni marchi - e la ripresa dopo il pesante stop imposto dal covid fatica ad arrivare: dai quasi 2 milioni di vetture immatricolate in Italia nel 2019 si è precipitati agli 1,4 scarsi del 2020. Il 2022 si avvicinerà a quota 1,5 milioni, per il 2023 la stima è di 1,8 milioni.
Il neoministro Pichetto, intervenuto telefonicamente in diretta dal Lussemburgo, ha annunciato che per far fronte alla crisi energetica l'Italia è disponibile a sperimentare il nucleare di ultima generazione e a proseguire ricerca ed estrazione del gas dai fondali marini, ribadendo la ferma posizione di neutralità tecnologica del governo. Rassicurazioni, certo, ma che non bastano a una platea che chiede fatti. La filiera, pur condividendo la necessità di preservare l'ambiente, vede nell'avvento dell'auto elettrica una sostanziale resa alla Cina, ormai quasi monopolista globale nella produzione delle batterie e luogo di produzione di ampia parte della componentistica. Mentre il know-how occidentale, e soprattutto europeo, rischia di cadere nel dimenticatoio a favore di una tecnologia ancora immatura, costosa e che di fatto annienta un settore. Pesano, fra l'altro, la scarsità di infrastrutture di ricarica, l'autonomia ancora troppo bassa delle vetture elettriche, i tempi di ricarica. I costi per un pieno alla spina è aumentato del 168% nell'ultimo periodo, e a conti fatti le vetture a batteria sono inavvicinabili per una fetta ampia di acquirenti.
Plinio Vanini, presidente del colosso Autotorino, invita a fare investimenti costanti per non rimanere fuori da un mercato disegnato sui nuovi paletti normativi, mentre Adolfo Cosentino De Stefani, presidente di Federauto, lancia l'allarme per la mancanza di vetture e anche di strategie, tornando a chiedere almeno la detrazione dell'Iva per gli acquisti. In un'Italia che vede circolare il 28% di auto Euro 3 o inferiori, Il presidente di AsConAuto, Roberto Scarabel propone "un meccanismo incentivante l'acquisto per dare la opportunità ai privati di avere accesso a un usato più recente, più sicuro e con un minor impatto sull'ambiente".
Focus, inoltre, sulla Cina che da un lato detiene ampia parte delle materie prime necessarie alla costruzione di auto elettriche, e dall'altro è da tempo impegnata nella campagna acquisti di blasonati brand europei. E' stato il caso della svedese Volvo e, più di recente, della britannica MG. Se nel primo caso l'ingresso di Pechino è stato soprattutto economico, ma non di stravolgimenti del marchio, nel secondo caso l'impatto è stato giocoforza più incisivo: la Casa d'oltremanica, infatti, aveva sospeso da tempo la produzione e con l'ingresso della nuova proprietà si è proposta anche nel mercato delle auto elettriche con il 30% della propria offerta.
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