Con un momento commemorativo alla
judenrampe, il binario dove venivano scaricati gli ebrei
destinati alla morte, è iniziata l'ultima e più importante
giornata del Viaggio della Memoria di Roma Capitale, quella
dedicata alla visita di Auschwitz-Birkenau. Con i 142 ragazzi da
tutta la provincia il sindaco Roberto Gualtieri, insieme al
presidente della Comunità ebraica Victor Fadlun e al presidente
della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia, ha deposto una
pietra sul vagone lasciato sul posto a memoria di quanto
accaduto. Il sindaco ha deposto anche una corona di Roma
Capitale. A rendere omaggio al luogo dove, ha spiegato lo
storico Marcello Pezzetti, sono arrivati la maggior parte degli
ebrei deportati a Auschwitz, tra cui Shlomo Venezia e le sorelle
Bucci, hanno deposto pietre anche tre ragazzi: la nipote di un
deportato del 16 ottobre a rappresentanza degli ebrei romani,
una giovane polacca la cui nonna fu deportata a Birkenau per
aver aiutato gli ebrei, un ragazzo di origine rom.
Il presidente Fadlun ha suonato uno shofar, un corno rituale
della tradizione religiosa ebraica. Gli ebrei del 16 ottobre,
quelli da Roma, furono accolti dal comandante del campo in
persona perché erano "gli ebrei del papa e volevano vederli".
Tornarono solo in 16. "I neonati furono messi in un lenzuolo e
uccisi sbattendoli contro le fiancate dei camion - ha raccontato
Pezzetti ai ragazzi sbigottiti - Chi degli adulti non ce la
faceva veniva ucciso sul posto. Questo era un luogo di scarico
ma anche un luogo di morte".
Il dottor Mengele in persona selezionò gli ebrei romani: "Chi
vuole arrivare al campo col camion può salire" disse. Chi sali
sul camion fu direttamente gassato. All'interprete che gli
chiese perché, il medico nazista rispose: "Chi non vuole
camminare un po' per il Reich non merita di vivere".
Il luogo della cerimonia si trova però, ha spiegato Pezzetti,
al di fuori del perimetro di Birkenau e nonostante i divieti,
attorno al vagone sono sorte abitazioni e villette. "C'è la
necessità di impegnarsi - ha detto Gualtieri - per tutelare
questo sito come luogo di commemorazione e non un luogo dove si
fanno i barbecue e ci sono le case. È una profanazione e
condivido l'appello di Marcello Pezzetti. E se è una
profanazione, la presenza di queste case è anche qualcosa che ci
fa riportare alla mente la normalizzazione della Shoah nelle
vite di allora. Questa orribile commistione tra vita quotidiana
e Judenrampe è quasi un documento di com'era allora: il
genocidio degli ebrei, lo sterminio dei rom e delle minoranze
avvenuti all'interno di una presunta vita quotidiana normale. E
questa banalità del male va sempre ricordata perché ci dice che
il male può tornare".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA