ROMA - Le persone accusate di "complotto contro la sicurezza interna ed esterna dello Stato" in Tunisia hanno annunciato con una lettera dal carcere diffusa attraverso i canali social del gruppo di difesa che inizieranno uno sciopero della fame, per esprimere "il rifiuto categorico di partecipare a una parodia di giustizia" dopo più di due anni di detenzione preventiva, senza un giusto processo o la possibilità di difendersi da quello che descrivono come un "processo politico basato su false accuse". I firmatari della dichiarazione - Issam Chebbi, Abdelhamid Jlassi, Khayam Turki, Ridha Belhaj, Ghazi Chaouachi e Jaouhar Ben Mbarek (già in sciopero della fame dal 30 marzo) - denunciano una strategia di "opacità" portata avanti dalle autorità, volta secondo loro a "nascondere la fabbricazione del caso e impedire l'emergere della verità". In particolare, respingono l'uso di testimoni anonimi, il divieto di qualsiasi copertura mediatica del processo e lo svolgimento delle udienze a distanza.
"Ci rifiutiamo di comparire lontanamente in un processo truccato, privo delle condizioni fondamentali di una giustizia equa", hanno scritto, invitando le forze nazionali, le organizzazioni della società civile e "tutte le libere coscienze" a mobilitarsi contro "la strumentalizzazione del potere giudiziario per fini politici".
La prossima udienza del procedimento per "complotto" è fissata per l'11 aprile a Tunisi, con la modalità di comparizione degli imputati in videoconferenza, secondo quanto disposto dalle autorità giudiziarie. Il processo riguarda un gran numero di oppositori del presidente Kais Saied. Dirigenti di partito, avvocati, personalità dei media: una quarantina di persone di diversa estrazione sono state indagate in totale.
Molte sono sospettate anche di avere avuto contatti con paesi stranieri, in particolare con diplomatici. Secondo la difesa, sono accusate di "cospirazione o complotto contro la sicurezza interna ed esterna dello Stato" e di "appartenenza a un gruppo terroristico". Accuse che prevedono pesanti pene detentive e persino la pena di morte.
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