(di Fausto Gasparroni)
"Ritengo che le
presunte perdite nella rivendita del palazzo di Londra siano
tutte da ascrivere alla Segreteria di Stato che ha rinunciato a
inoltrare le autorizzazioni dell'immobile senza venderlo né
iniziare i lavori; ha pubblicizzato a livello mondiale una
presunta 'truffa', che non è il modo migliore per 'conquistare'
e creare appeal verso possibili investitori. In ogni caso trovo
strano che il contratto di vendita sia stato secretato mentre mi
imputano addirittura una truffa!". Lo ha detto il finanziere
Raffaele Mincione in dichiarazioni diffuse dalla difesa in
occasione dell'interrogatorio di oggi nella 20/a udienza del
processo.
Le sette ore di risposte ai promotori di giustizia sono solo
la prima parte dell'interrogatorio, che continuerà domani, del
finanziere con sede a Londra, che nel processo sugli
investimenti della Segreteria di Stato risponde di peculato,
truffa, abuso d'ufficio, appropriazione indebita e
autoriciclaggio. "Sono stato dipinto più volte come un signore
che ha scardinato il sistema finanziario vaticano. Sono stato
insultato negli atti e scuoiato sui giornali come un
delinquente", ha lamentato Mincione in aula, rivendicando i suoi
25 anni di esperienza nel settore finanziario in istituzione
bancarie ai vertici mondiali, o anche per grandi gruppi, tra cui
quelli petroliferi come Gazprom, Lukoil e Petrobras. E' proprio
la sua esperienza finanziaria in campo petrolifero che alla fine
del 2012 lo porta a collaborare con la Segreteria di Stato
vaticana, coinvolto da Enrico Crasso del Credit Suisse, come
advisor per il progetto Falcon Oil, sull'estrazione petrolifera
in Angola. E sono state altresì le sue due diligence a
certificare la mancanza di garanzie finanziare, tanto da far
tramontare l'operazione caldeggiata all'epoca dal cardinale
Angelo Becciu e dal suo amico imprenditore angolano Antonio
Mosquito. Proprio i 200 milioni di dollari accantonati dalla
Santa Sede per il progetto petrolifero e sistemati, tramite
Credit Suisse e Banca della Svizzera Italiana, nel fondo di
Mincione Global Commodities Fund, sono stati poi destinati ad
essere investiti dal finanziere, tramite il nuovo fondo Global
Opportunity Fund (Gof), anche per il palazzo di Sloane Avenue
60.
"Anche se nei miei fondi è iscritta la parola 'rischio' - ha
spiegato Mincione - ho pensato a uno strumento che 'mimasse' un
fondo bilanciato, con il 50% in beni immobiliari, il 25% in
obbligazioni e il 25% in azioni". "Sapevo che una grandissima
parte delle risorse dei Patti Lateranensi è stata investita in
Inghilterra, in aree di prestigio come Bond Street. Il più
grosso possessore di real estate in Italia e al mondo è il
Vaticano. Per me pensare di costruire un investimento basato sul
50% in real estate era fare qualcosa nelle corde
dell'investitore, di quello che già conosceva". E secondo
Mincione, se la Santa Sede non fosse uscita prima della scadenza
dell'investimento avrebbe molto guadagnato, considerando il
valore dell'immobile periziato a luglio 2014 a 230 milioni di
sterline e aumentato sei mesi dopo già di quasi 30 milioni.
"Purtroppo, nel 2016, in pieno sviluppo del progetto, ci fu
la Brexit che ha congelato tutti gli investimenti internazionali
a Londra per circa due anni - ha ricordato Mincione, con i suoi
difensori Andrea Zappalà e Giandomenico Caiazza -.
Improvvisamente, verso la seconda metà del 2018, la Segreteria
di Stato ha preteso che vendessimo il palazzo in poco tempo. Ho
spiegato loro che in quel momento non era possibile, che avremmo
perso denari e inoltre che il periodo di lock up (cinque anni
più due) non era terminato".
"Hanno insistito moltissimo e alla fine hanno preteso che lo
vendessimo a loro - ha spiegato -. Questa pretesa unilaterale mi
venne rappresentata da un finanziere che loro avevano scelto
come 'mediatore' senza di certo interpellarmi: Gianluigi Torzi,
persona che conoscevo e col quale avevo fatto alcuni deal in
precedenza".
"Ma io non ho mai fatto nulla perché Torzi fosse incaricato
dal Vaticano e anzi non l'ho saputo fino all'ultimo secondo - ha
quindi precisato -. Torzi, dopo che aveva messo gli occhi
sull'immobile da anni, mi disse solo a novembre 2018 che tramite
le sue entrature sarebbe stato il nuovo gestore del progetto
immobiliare. Mi disse anche che se non avessi accettato di
cedere l'immobile il Vaticano mi avrebbe creato molti problemi.
Lo stesso tono lo usarono anche Tirabassi e Perlasca, il quale
mi chiese espressamente di considerare Torzi come loro
mandatario". Insomma, "per accontentare la Segreteria di Stato
abbiamo deciso di vendere le nostre partecipazioni in 60 Sloane
Avenue al valore della nav (net asset value) alla fine del 2018
(275 milioni di sterline), riprendendoci indietro i titoli del
fondo, che come ho detto hanno poi guadagnato molto. Devo
ribadire che, contrattualmente, non eravamo neppure costretti a
farlo".
Mincione ha infine sottolineato che "tutte le vicende
successive tra Torzi e la Segreteria di Stato mi vedono
completamente estraneo". "Ribadisco che il risultato complessivo
delle gestioni, come ho detto, numeri alla mano, sarebbe stato
assai positivo se avessero atteso il termine della gestione", ha
concluso.
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