Licenziata perché incinta. É quanto accaduto ad un'addetta alla contabilità della 'Dana', un'azienda in Trentino Alto Adige, che nel settembre del 2021 è stata cacciata dopo aver rivelato la gravidanza: a distanza di 4 anni e dopo essersi rivolta alla Fiom, la Corte d'Appello ha accolto il suo ricorso condannando l'azienda per "discriminazione" verso le donne. La Dana dovrà ora riconoscere alla lavoratrice il 100% della retribuzione sino al compimento dell'anno di età del figlio e risarcire il danno, oltre che pagare integralmente anche le spese legali.
I fatti risalgono al 2021. L'impiegata lavorava in Dana con un contratto interinale, con missione a termine fino al 2049.
Nel settembre 2021 era rimasta incinta, una gravidanza a rischio secondo i medici, e per questa ragione Dana l'aveva estromessa dall'organico, interrompendone la missione. In conseguenza a questa decisione, la lavoratrice è quindi tornata in capo all'agenzia di somministrazione Manpower, che, non potendola ricollocare a causa della gravidanza, le ha erogato solo l'indennità di mancata missione: un terzo dello stipendio che avrebbe percepito se il diritto alla maternità le fosse stato garantito.
La donna si è quindi rivolta alla Fiom e ne è nata una battaglia legale seguita dall'avvocata Sonia Guglieminetti, col sostegno del sindacato, del Nidil e dell'Ufficio vertenze della Cgil del Trentino. In principio Dana ha sostenuto di non avere alcun dovere nei confronti dei lavoratori in somministrazione e poi, davanti al giudice del lavoro, ha detto che la decisione era "conseguenza di una ristrutturazione aziendale" e che la concomitanza con la gravidanza era pura coincidenza, così come pura coincidenza era stata l'identica decisione assunta nei confronti di un'altra lavoratrice interinale andata in gravidanza.
La Corte - sottolinea il sindacato - ha accertato che il comportamento di Dana è derivato da una discriminazione verso le donne: tra circa un migliaio di lavoratori, stabili e precari, le uniche due estromesse dall'azienda in quel periodo erano state proprio quelle due donne. La condizione di una lavoratrice in stato di gravidanza - ha sancito la Corte - va tutelata sempre, anche se lavora con un contratto precario. In caso contrario, si è di fronte ad una discriminazione.
"L'auspicio è che questa sentenza costituisca un primo tassello per mettere al bando lo staff leasing e più in generale l'uso indiscriminato del lavoro precario, che lede la dignità del lavoro e delle persone, azzerando un secolo di conquiste sindacali", commenta il segretario della Fiom del Trentino, Michele Guarda.
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