Il Papa che per primo in duemila anni di cristianità celebrò messa in Medio Oriente, nel 2019 a Abu Dhabi, nel giorno della sua morte ha ricevuto l'omaggio dei leader di tutti i Paesi musulmani della regione. Mentre ancora a fine giornata nessun messaggio era arrivato dal governo d'Israele né dal suo premier Benyamin Netanyahu.
Dal presidente egiziano Sisi al re di Giordania Abdallah, dal presidente degli Emirati Zayed al sovrano di Dubai Al Maktoum. Unanime il riconoscimento a Bergoglio di essere stato un "uomo di pace, promotore dei principi di convivenza e comprensione". Del resto anche le ultime parole pronunciate da Bergoglio in pubblico avevano ricordato quella che il Pontefice ha definito "una situazione ignobile" dal punto di vista umanitario a Gaza. Il presidente dell'autorità palestinese Abu Mazen lo ha definito un "amico fedele del popolo palestinese", ricordando che "ha riconosciuto lo Stato e autorizzato l'esposizione della sua bandiera in Vaticano". Il presidente dell'Iran Masoud Pezeshkian ha voluto sottolineare che il pontefice "ha condannato la guerra genocida del regime israeliano a Gaza". Così come l'organizzazione terroristica Hamas, non inaspettatamente, si è unita al cordoglio affermando che "Francesco era un difensore dei diritti del popolo palestinese nella sua ferma posizione contro la guerra e gli atti di genocidio perpetrati contro la popolazione di Gaza". In serata anche la piccola comunità cristiana della Striscia si è riunita in preghiera per Francesco.
"Il Papa ci ha amato tanto", ha detto Gabriel Romanelli, sacerdote dell'unica chiesa cattolica di Gaza e argentino come lui. Bergoglio e Romanelli si sentivano quasi ogni giorno, in mezzo al frastuono della guerra. Anche quando il Papa era nel suo letto d'ospedale, al Gemelli di Roma, per la grave polmonite che gli rendeva quasi impossibile parlare. In Medio Oriente si sono naturalmente stretti alla Chiesa di Roma quei Paesi che contano numerose comunità cristiane, primo fra tutti il Libano, unico Stato del mondo arabo ad avere un presidente cristiano-maronita, Joseph Aoun. Il Consiglio dei ministri di Beirut ha annunciato tre giorni di lutto nazionale, con le bandiere degli edifici che ospitano le istituzioni abbassate a mezz'asta e i palinsesti televisivi modificati. Per Israele ha parlato, appena appresa la notizia, il presidente Isaac Herzog che ha ricordato il pontefice come "un uomo di profonda fede e sconfinata compassione". Mentre è apparso assordante il silenzio di Netanyahu, che evidentemente non perdona al Santo Padre di aver costantemente fatto notizia negli ultimi 18 mesi con i suoi commenti sulla guerra a Gaza in difesa dei palestinesi.
"E' stato un papa estremamente problematico per il mondo ebraico. E' un papa che ha risvegliato certe estensioni nel rapporto tra ebraismo e cristianesimo di cui abbiamo risentito molto, soprattutto dopo il 7 ottobre, nelle sue prese di posizione", ha detto tuttavia Alexander Meloni, rabbino capo della comunità ebraica di Trieste. "Anche se devo dire che il suo ultimo intervento, quello che ha fatto ieri, l'ho percepito come una presa di coscienza che si era addentrato in un cammino pericoloso", ha osservato. Francesco ha più volte definito le azioni di Israele "immorali", facendo poi un ulteriore passo avanti con la richiesta di un'indagine per verificare se la campagna dell'Idf nella Striscia costituisca genocidio. Netanyahu, ma anche la comunità ebraica internazionale e italiana, ha più volte contestato che le dichiarazioni di Bergoglio a favore dei palestinesi erano quotidiane, mentre l'appello per la liberazione degli ostaggi, il ricordo delle vittime del 7 ottobre e la condanna del terrorismo erano rari nelle parole del papa. Proprio il giorno prima di morire, nell'Urbi et Orbi, il pontefice ha descritto "il terribile conflitto (a Gaza) che continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria".
Tuttavia, il tributo compatto dalla regione dove la maggioranza della popolazione è fedele all'Islam fa da specchio alla grande attenzione di Bergoglio per il Medio Oriente. Durante il suo papato è stato in visita cinque volte: dal Bahrein all'Egitto, in Giordania, Palestina, Israele, Emirati. In Iraq forse il suo viaggio più rivoluzionario: nel 2021 volle visitare Ur, la città in cui era nato Abramo secondo la tradizione biblica, e sfidando le preoccupazioni sulla sua sicurezza camminò per le città segnate dalla presenza dell'Isis, pregando tra le rovine di Mosul e abbracciando il leader sciita Al Sistani. Alla firma del Documento di Abu Dhabi nel 2019 disse forse le sue parole più potenti: "La fratellanza è la nuova frontiera dell'umanità. O costruiamo insieme il futuro o non ci sarà futuro".
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