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Delusione senza sbocchi nel Regno Unito a 5 anni dalla Brexit

Delusione senza sbocchi nel Regno Unito a 5 anni dalla Brexit

I sondaggi e i dati sono negativi, ma un ripensamento è escluso

LONDRA, 31 gennaio 2025, 16:45

di Alessandro Logroscino

ANSACheck

Una delusione senza sbocchi. E' il sentimento che, numeri alla mano, sembra prevalere nel Regno Unito a 5 anni dall'accordo di divorzio dall'Ue - firmato dopo un lunga tira e molla negoziale il 24 gennaio 2020, e divenuto esecutivo il primo febbraio - che suggellò l'entrata in vigore definitiva della Brexit.

Una svolta generazionale arrivata dopo 40 anni di convivenza ormai consolidata - per quanto d'interesse più che d'amore - nel club di Bruxelles. Frutto del risultato a sorpresa del referendum popolare che nel giugno 2016 aveva visto prevalere il Leave sul Remain con il 52% circa dei voti contro il 48. Evento che a distanza di un lustro viene di fatto ignorato a livello ufficiale dai vertici politici di Londra. Ma su cui non mancano le ombre di un rimpianto crescente, se non di un ripensamento, alla luce dei risultati raccolti. Quanto meno finora.

A pesare sono in primis gli ostacoli commerciali, particolarmente sentiti in alcuni settori (in fondo prevedibili, a dispetto di certa propaganda, tenuto conto che i Paesi del continente restano nel loro complesso i partner principali e più ravvicinati dell'isola). O ancora i controlli di frontiera che, al netto dell'orgoglio patriottico di qualcuno per il ritrovato passaporto color blu, impattano su tempi, file e condizioni di viaggio di turisti e visitatori. Il tutto aggravato da un contesto generale di economia in affanno, conseguenza di problemi e conflitti globali che in realtà non risparmiano nessuno (membri dell'Ue inclusi), ma che gli intoppi del dopo Brexit non aiutano certo a superare.

Video 5 anni di Brexit, molti i rimpianti in Gb

 

La maggioranza dei britannici, del resto, non nasconde il malumore, stando agli esiti di un ultimo sondaggio d'occasione pubblicato da YouGov. Il totale di chi crede che l'isola abbia fatto bene a separarsi dall'Unione precipita al 30% nelle stime di questa ricerca, condotta su un campione di 2.225 persone.

Mentre risale al 55% la quota di chi si dice oggi sulla carta favorevole a un rientro di Londra nell'Unione: incluso un 20% di coloro che avevano votato Leave alle urne nel 2016. Numeri significativi e che tuttavia non vanno neppure sopravvalutati, se si considera che la percentuale cala a 39 intervistati su 100 fra quanti si dichiarano "fortemente" convinti a impegnarsi per una retromarcia reale in nome della cosiddetta 'Bregret'. Uno zoccolo duro che nel giudizio di diversi analisti non garantirebbe in effetti la certezza di una rivincita laddove mai si creassero davvero in un qualche futuro le condizioni per un referendum bis. Referendum che nel caso andrebbe tenuto non già a freddo, come i sondaggi attuali, bensì al culmine di un'ipotetica nuova campagna umorale a colpi di slogan contrapposti.

Prospettiva esclusa d'altronde al momento in modo categorico anche dal nuovo governo laburista moderato di Keir Starmer, succeduto con le elezioni del 4 luglio a 14 anni di governi Tory e a predecessori brexiteer come Boris Johnson o Rishi Sunak.

Governo guidato da un premier che fu convinto sostenitore del voto pro Remain nel 2016, ma che teme di riesumare un dossier comunque divisivo. E che evoca per ora vagamente un "reset" con Bruxelles, auspicando relazioni più aperte senza l'impegno a rimettere in discussione non tanto la Brexit in sé, quanto l'addio del Regno al mercato unico, all'unione doganale e soprattutto al circuito europeo di libertà di movimento delle persone.

Mentre resta impegnato a sventolare la bandiera delle difesa dei confini, sino a promuovere l'applicazione di norme anti-terrorismo contro "l'immigrazione illegale" e i trafficanti che la gestiscono. In un quadro nel quale la concorrenza a destra rischia di passare intanto dalle mani dei conservatori a quelle di Reform UK, il partito di Nigel Farage, ammiratore euroscettico di Donald Trump. E in cui un altro sondaggio recente rivela come ben il 52% dei sudditi di Sua Maestà del futuro, la cosiddetta generazione Z, subisca il fascino di un qualche "uomo forte" come soluzione ai problemi e alla precarietà del presente: arrivando a immaginare un leader autoritario, "non condizionato" dal Parlamento né dal voto democratico.

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